In anni di tentativi, contatti, negoziati, accordi che puntualmente non soddisfano mai l'appetito di Tripoli, emergono una constatazione e un'esigenza. Quando serve, l'Unione Europea non c'è mai. Tutto il peso della diplomazia di Bruxelles svanisce quando si tratta di sostenere un paese membro, l'Italia, in una vertenza internazionale con un altro paese, la Libia, che abusa esplicitamente dei movimenti migratori come arma di ricatto. Bruxelles che è sempre sollecita a inviare i suoi rappresentanti nelle aree di crisi per fare foto di gruppo al fianco di capi di Stato e di governo. Quando c'è però bisogno di un ruolo attivo, le comparse mandate dall'Europa si dileguano. Stesso discorso per una politica migratoria europea, che ancora non ha trovato consenso tra gli Stati. E' la classica ambivalenza dell'Europa, pronta a usare la frusta per una virgola nei bilanci ma impotente di fronte alla tragedia di esseri umani mercificati per gli interessi di uno Stato non europeo. La logica esigenza è irrobustire la politica estera nazionale. Siccome Roma è lasciata sola, si segua la politica estera di Roma. E' un semplice sillogismo che è già diventato una realtà. La questione dell'immigrazione clandestina si fonde con la sicurezza pubblica e i rapporti internazionali. Di fronte a questa gravità e a questa complessa realtà, se l'Europa è Golia, tocca ad ogni governo nazionale fare la parte di David.
Il caso della Libia arriva proprio mentre il parlamento italiano ha ratificato all'unanimità il trattato europeo di Lisbona. Adesso le coscienze degli europeisti più ideologici potranno sbandierare allegramente il foglio di carta col nuovo, ennesimo trattato che introduce l'ennesima, inutile, miglioria per lasciare tutto com'era. L'augurio in calce a quella firma è che il «drizzone» di Berlusconi rivitalizzi l'Europa quel tanto che basti a destarne la ragione. Nel frattempo basta una gita a Lampedusa.
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
Confisca dei beni patrimoniali per chi sfrutta gli immigrati irregolari facendoli lavorare in nero. E' l'indicazione del ministro dell'Interno Roberto Maroni a Bruxelles, riguardo alla posizione italiana sulla proposta della Presidenza di turno francese del Consiglio d'Europa per punire chi sfrutta gli immigrati clandestini. Secondo il ministro, una misura di questo genere avrebbe un forte carattere dissuasivo e quindi preventivo. Maroni rileva anche che in Italia gli immigrati in nero rappresentano una forma di sfruttamento molto diffusa.
Sul punto, però, c'è stata una spaccatura tra i paesi del nord (più propensi a regole meno severe) e i paesi del sud, questi ultimi in genere più direttamente interessati al fenomeno dell'immigrazione (sia stanziale che di passaggio). La divisione riguarda due punti: la possibilità di prevedere anche sanzioni penali per chi assume immigrati irregolari; la definizione di un obiettivo minimo a livello europeo (il 5%) di ispezioni nelle imprese. «Oltre a quelle penali e finanziarie, proponiamo di introdurre anche una sanzione patrimoniale per colpire direttamente gli imprenditori che sfruttano gli immigrati irregolari», sostiene Maroni ricordando ai colleghi europei che in Italia sono state approvate delle norme che possono portare «fino al sequestro di un immobile dato in locazione ad un immigrato irregolare». Il ministro osserva che il nostro Paese ha un «primato negativo, soprattutto nei settori dell'agricoltura e delle costruzioni»; «La direttiva Ue proposta parla di sanzioni finanziarie e amministrative. A noi va bene, ma chiediamo anche di aggiungere le sanzioni patrimoniali».
A Bruxelles, anche il commissario europeo per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Jacques Barrot, appoggia la proposta della presidenza di turno francese. Insomma, l'Europa dei Ventisette dovrebbe capire, in generale, che è nell'interesse di tutti non alimentare in alcun modo le sacche di clandestinità sul territorio comunitario, usando tutti gli strumenti a disposizione. Colpire i datori di lavoro che sfruttano i clandestini ed i proprietari degli immobili che li ospitano, oltre ad essere delle efficaci garanzie per la salvaguardia degli stessi stranieri irregolari, sono degli ottimi strumenti per cercare di colpire alla radice il problema.
Tralasciando la questione del rapporto tra clandestinità e criminalità, infatti, uno straniero che entra nel nostro Paese vive lavorando in nero e pagando un affitto in nero. Prosciugando questa economia parallela a quella ufficiale, colpendo i diretti beneficiari (datori di lavoro e proprietari di immobili senza scrupoli), verrebbe meno quell'acquitrino di illegalità attraverso il quale si alimenta la clandestinità. Ma c'è un altro problema da evitare, e cioè che l'economia sommersa, alimentata anche dal circuito che ruota intorno all'immigrazione clandestina, diventi un modo come un altro per rispondere alle sfide del mercato globale. Secondo l'ultimo rapporto Eurispes l'economia sommersa in Italia ha prodotto almeno 549 miliardi di euro nel 2007. Secondo i calcoli, il nostro sommerso attualmente equivale ai Pil di Finlandia (177 mld), Portogallo (162 mld), Romania (117 mld) e Ungheria (102 mld) messi insieme. L'incidenza rispetto al Pil ufficiale prodotto nel nostro Paese è di almeno il 35,5%. Sono cifre che dovrebbero far riflettere tutti perché se qualcuno in Europa crede che questi siano solo problemi che riguardano gli stati del Sud dell'Ue, si sbaglia di grosso. Generalmente il Sud è solo la zona di transito; la vera destinazione è il nord Europa ed il suo ricco welfare state.
Ok dalla Commissione Europea al pacchetto sull'immigrazione
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
Porte chiuse, o quasi, per l'immigrazione in Spagna. Non stiamo parlando di clandestini ma di quella legale: il governo spagnolo di José Luis Zapatero, infatti, annuncia di voler stringere le maglie della contrattazione diretta nei paesi di origine. L'obiettivo è contrastare l'aumento della disoccupazione, che con la crisi economica ha ormai raggiunto il 10,5% della popolazione attiva ed è prevista in aumento fino al 12,5% entro l'anno prossimo. Gli immigrati nella penisola iberica sono più di quattro milioni e rappresentano ormai il 10% della popolazione spagnola.
«Rivedremo la lista delle contrattazioni in origine», spiega il ministro del lavoro e dell'immigrazione Celestino Corbacho, che anticipa di non voler più presentare liste così «generose» come quelle approvate fino all'anno scorso, e che anzi cercherà di far sì che la cifra «si avvicini allo zero» a partire da quest'anno 2009. «Non sembra ragionevole che in un mercato del lavoro come quello spagnolo, dove abbiamo 2,5 milioni di disoccupati, si continui a reclutare lavoratori nei loro paesi d'origine», dice Corbacho. Uniche eccezioni, i paesi con cui sono vigenti accordi specifici (per lo più africani) e casi di alta specializzazione. Fra gennaio e luglio del 2008 gli immigrati assunti a distanza, direttamente nei paesi d'origine, sono stati 88.000, mentre nel 2007 sono stati 200.000. L'esecutivo spera che l'offerta lavorativa sia coperta dagli spagnoli e dagli immigrati già presenti sul suolo iberico che hanno perso il lavoro: questi ultimi rappresentano un'alta percentuale dei nuovi disoccupati, soprattutto a causa del crollo del settore delle costruzioni in cui sono spesso impiegati come operai.
Corbacho, è bene ricordarlo, è lo stesso ministro del governo Zapatero che, sulla scia della collega Bibiana Aido, aveva attaccato a maggio dello scorso anno l'esecutivo italiano, per la presunta durezza della nostra politica in materia di immigrazione che, invece, ha colto l'ok di Bruxelles proprio su quel pacchetto di norme oggetto della contestazione dei due ministri spagnoli e del centrosinistra italiano. Infatti, come affermato da Michele Cercone, portavoce del commissario europeo per giustizia, libertà e sicurezza, Jacques Barrot, il pacchetto di misure adottato dal governo italiano per far fronte all'emergenza dei nomadi nel nostro paese non viola le norme Ue. Rispondendo ai giornalisti che chiedevano se la Commissione europea avesse concluso la valutazione del rapporto che il governo italiano ha inviato a Bruxelles lo scorso 1 agosto, il portavoce ha sottolineato che «né ordinanze, né le linee direttrici, né le condizioni di esecuzione, autorizzano la raccolta di dati relativi all'origine etnica o religiosa delle persone censite». In questo contesto, ha aggiunto Cercone, in Italia «non c'è nessuna raccolta sistematica delle impronte digitali» nei campi nomadi. E soprattutto «la presa di impronte digitali ha il solo fine di identificare le persone quando non sono in possesso di un documento e comunque come extrema ratio»... «Questo è valido in particolare per i minori, nei confronti dei quali il riscorso alla raccolta di dati dattiloscopici è limitato ai soli casi strettamente necessari per l'identificazione, quando questa non è possibile con altri documenti», ha detto ancora Cercone a Bruxelles, aggiungendo, inoltre, che «Barrot apprezza la volontà dichiarata del governo di rispettare le norme comunitarie» e lo ringrazia della buona collaborazione e che proprio «la buona collaborazione ha permesso di verificare la situazione e di correggere tutte le misure che potevano essere contestabili». Insomma, un vero successo per il governo, l'ennesimo, che fa giustizia di tutte le parole inutili e scomposte dell'opposizione di centrosinistra, e di qualche ministro straniero semplicemente alla ricerca della tutela dei propri interessi nazionali, usate per apostrofare in malo modo una serie di interventi di semplice buon senso in una materia complessa come è quella dell'immigrazione.
La verità è che il centrosinistra alza inutili polveroni perché non solo non ha una linea condivisa in materia, visto che tra loro c'è chi parla addirittura di superamento dei Cpt, istituiti dalla legge che porta il nome di Turco-Napolitano e cioè di un esponente di spicco del Pd e dell'attuale Presidente della Repubblica, ma non è in grado di opporre alcuna idea organica e concreta in alternativa a quella del governo. La loro aridità intellettuale viene coperta dai polveroni sollevati a suon di inutili polemiche. Chiacchiere che lasciano il tempo che trovano e che nulla portano al dibattito su come meglio regolare i flussi in entrata e la gestione degli immigrati sul territorio in un'ottica di vera integrazione. Fino a quando il centrosinistra si barcamena all'opposizione, il giochetto di nascondere la propria aridità intellettuale può anche funzionare, ma non appena viene investito dalle responsabilità di governo, come abbiamo visto anche nel recente passato, viene inesorabilmente alla luce la mancanza di idee e al posto dell'azione prevale l'immobilismo.
Immigrazione clandestina: migliorare la cooperazione tra gli Stati Ue
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
Il ministro dell'Interno Roberto Maroni intende portare avanti la costruzione immediata di dieci nuovi Centri di Identificazione ed Espulsione e di due o tre centri per ospitare in strutture chiuse i clandestini che richiedono asilo e che attualmente sono liberi di muoversi in attesa che la loro pratica venga esaminata. Maroni lo ha anticipato a Bruno Vespa nel corso di una lunga conversazione sullo stato dell'immigrazione che è stata pubblicata nel nuovo libro del giornalista "Un'Italia diversa. Viaggio nella rivoluzione silenziosa", edito da Mondadori- Rai Eri.
«La costruzione dei nuovi centri, uno per regione - ha detto Maroni a Vespa - era prevista nel disegno di legge approvato a maggio. Ma l'aggravarsi dell'emergenza nazionale impone di accelerare la scelta». «Per quanto riguarda i richiedenti asilo - ha aggiunto Maroni - l'anno scorso su quattordicimila domande ne sono state accolte ottomila, divise tra profughi politici e persone inabili a tornare nel loro paese. I richiedenti oggi sono ospiti di centri speciali e sono liberi di muoversi. Noi prevediamo che invece vi restino chiusi in attesa del provvedimento della commissione. Se il provvedimento è negativo, attualmente i clandestini presentano ricorso al Tar e restano liberi in Italia in attesa che venga esaminato. Noi invece prevediamo che si proceda alla loro immediata espulsione, a meno che il prefetto non ritenga il ricorso fondato e ordini che i richiedenti restino nel centro, chiuso e controllato, ad aspettare l'esito del ricorso».
Il problema degli sbarchi dei clandestini va visto in una ottica più ampia perché non è un problema solo italiano, ma europeo. In una intervista pubblicata a metà settembre sul Sunday Times di Malta, il finlandese Illka Laitinen, capo della Frontex, l'Agenzia europea che coordina la cooperazione operativa tra gli Stati membri in materia di gestione delle frontiere esterne, ha affermato che i pattugliamenti non rendono i risultati desiderati. Secondo Laitinen «la situazione è allarmante» e «più pattugliamenti della Ue nel Mediterraneo hanno fallito l'obiettivo di ridurre l'afflusso di immigrati verso l'Italia, Malta e la Grecia». Gli arrivi a Lampedusa, spiega, sono cresciuti del 190% durante i primi sei mesi del 2008. E anche Malta ha registrato un incremento del 32%. Secondo informazioni raccolte dall'intelligence, i trafficanti impongono agli immigrati di affondare i loro barconi appena sono vicini alle coste di Malta o di Lampedusa, perché cosi devono essere soccorsi immediatamente dalle motovedette e portati a terra. Questo è il terzo anno consecutivo che la Ue coordina i pattugliamenti nel Mediterraneo con il contributo delle forze armate maltesti, italiane, francesi, tedesche e greche. In tutto la Frontex ha stanziato circa otto milioni di euro per l'operazione. Dal maggio scorso, quando sono iniziati i pattugliamenti, 12.641 immigrati hanno raggiunto Lampedusa, mentre 2.300 hanno raggiunto le coste maltesi.
E' facile intuire che non basta organizzare pattugliamenti coordinati tra gli Stati rivieraschi della frontiera sud dell'Europa per combattere l'immigrazione clandestina (nella specie quella delle cosiddette «carrette del mare»). Questo tipo di operazioni hanno bisogno di un nuovo impulso e di un quadro organico di ulteriori azioni entro il quale porsi. La gestione dell'immigrato clandestino già arrivato sul suolo europeo diventa sempre più difficile se il flusso di queste persone aumenta in maniera esponenziale, incontrollata ed imprevedibile, anche perché ogni Paese è costretto a fare da sè. Ed allora, ad esempio, sarebbe opportuno migliorare la cooperazione tra gli Stati membri non solo per quanto riguarda l'organizzazione delle operazioni di rimpatrio congiunte ma anche di quelle relative alla gestione del problema sul territorio (in primis lo scambio di informazioni sulle identificazioni). Altra strada, che sarebbe opportuno percorrere con maggiore decisione, è quella della cooperazione, anche e soprattutto economica, con gli Stati da cui arrivano i maggiori flussi di immigrati. In tal senso, non bastano più i rapporti bilaterali tra Stati ma un maggiore impegno da parte dell'Unione Europa, anche perché le problematiche relative ai flussi incontrollati di clandestini riguardano quasi tutti gli Stati membri. Non bisogna dimenticare, però, che qualunque azione non è mai risolutiva di per sè e che non esistono bacchette magiche.
Immigrazione. Evitare gli abusi nei ricongiungimenti familiari...
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
Secondo Agostino Marchetto, segretario del Pontificio Consiglio per i migranti, il governo Berlusconi, con i provvedimenti presi in materia di immigrazione, restrittivi sui ricongiungimenti familiari e sui richiedenti asilo, «si allontana sempre di più, e non solo nel tempo, dallo spirito della lettera di quei diritti umani che trovarono possibilità di essere espressi perché si proveniva forse dagli orrori di una guerra mondiale. Eppure l'uomo e la donna sono gli stessi, hanno bisogno di protezione, specialmente nei casi in questione». Marchetto aveva già criticato a più riprese la politica verso gli immigrati dell'attuale governo e dell'Unione europea. E lo scorso settembre, parlando ai microfoni della Radio Vaticana, il presule ha affermato che: «E' in corso in Europa una riflessione al fine di conseguire una politica comune in relazione ai richiedenti asilo e ai rifugiati. Purtroppo la tendenza è al ribasso rispetto agli impegni internazionali a suo tempo assunti in favore della protezione di persone perseguitate, e i cui diritti umani non sono stati rispettati».
Il governo vuole ridurre i tempi per l'acquisizione dello status di rifugiato, sfoltendo le domande pervenute e cassando le richieste palesemente strumentali, e rendere più stringenti i requisiti per il ricongiungimento familiare, onde evitare che l'abuso di questo strumento diventi un modo per aggirare la legge sull'immigrazione. E allora dove è questa tendenza al ribasso cui fa riferimento monsignor Marchetto? L'unica tendenza palese, anche per quanto riguarda gli ultimi interventi comunitari in materia di immigrazione (vedi ad esempio, da ultimo, il Patto europeo per l'immigrazione e l'asilo), è quella di evitare abusi e cercare di mettere delle regole chiare in materia. Il buonismo delle porte aperte per tutti porterebbe solo danni, in primis agli immigrati che vengono nel nostro paese (o comunque in Europa). Come giustamente segnalato dal vicepresidente della Camera, Maurizio Lupi: «Sbaglia chi pensa che garantire la sicurezza e combattere l'immigrazione clandestina significhi violare i diritti. E' invece proprio quando non esistono più regole e tutto diventa possibile che si finisce per compromettere la libertà e la dignità di ciascuno di noi».
Da sottolineare che il provvedimento prevede che coniugi, figli maggiorenni e genitori di immigrati dovranno essere sottoposti al test del Dna per ottenere il ricongiungimento (nel caso i consolati non siano in grado di accertare l'effettiva parentela); che le spese saranno a carico del richiedente; che il ricongiungimento non verrà più concesso automaticamente per decorrenza dei termini. Il test è già in uso in Inghilterra, Francia, Danimarca e Belgio e rappresenta un ottimo strumento nell'ottica del miglioramento delle politiche di sicurezza connesse alla gestione del fenomeno dell'immigrazione di massa.
Aumento record degli stranieri durante il biennio del governo Prodi
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
I cittadini stranieri residenti in Italia al 1° gennaio 2008 sono 3.432.651; rispetto al 1° gennaio 2007 sono aumentati di 493.729 unità (+16,8%). Si tratta dell'incremento più elevato mai registrato nel corso della storia dell'immigrazione nel nostro Paese, da imputare al forte aumento degli immigrati di cittadinanza rumena che sono cresciuti nell'ultimo anno di 283.078 unità (+82,7%). Dati Istat. Complessivamente i paesi europei contribuiscono con un aumento di 391.000 persone (79,3% dell'incremento totale). In particolare, l'incremento registrato nel corso del 2007 è dovuto ai «Paesi Ue di nuova adesione», i cui residenti sono aumentati di 319.000 unità. Sono i cittadini rumeni i principali responsabili di questo incremento, essendo passati, nel corso del 2007, da 342.000 a 625.000 residenti, arrivando quasi a raddoppiare la loro presenza nel nostro paese. Il restante 20,7 % dell'incremento, pari a 102.000 persone, è dovuto invece all'aumento dei cittadini provenienti dai paesi extra-europei.
Anche in Italia sono sempre più numerosi gli stranieri che diventano italiani «per acquisizione di cittadinanza». In base ai dati del Ministero dell'Interno e della rilevazione sulla popolazione straniera residente dell'Istat, si stima che fino al 2007 un totale di 261.000 cittadini stranieri hanno ottenuto la cittadinanza italiana (ad esempio in Francia nel solo biennio 2005-2006 sono state concesse complessivamente 303.000 cittadinanze). Il ministro dell'Interno Roberto Maroni ha reso noto che: «Nel 2003 erano 27.093 nel 2007 sono state 46.518». Secondo l'Istat, la maggior parte delle acquisizioni avviene ancora oggi per matrimonio mentre sono limitate, rispetto alla platea dei potenziali beneficiari (circa 630.000 persone), quelle per naturalizzazione (che prevede il requisito essenziale della residenza decennale). In particolare, continua Maroni, nel periodo 2003-2007 «c'è stato un 17% in più di richieste di cittadinanza per matrimonio e un 173% in più di richieste per motivi di residenza». Nel 2003 le richieste accolte sono state 13.443, nel 2007 38.466 con «un incremento del 171% di conferimenti per motivi di matrimonio e del 195% per motivi di residenza». I dati, secondo il ministro, sottolineano che «l'Italia non è un Paese razzista». Il ministro difende anche l'operato del governo in materia di politiche d'integrazione e quello delle forze dell'ordine nel controllo delle attività criminali. «L'analisi dei dati statistici, dei comportamenti delle forze dell'ordine, delle politiche d'integrazione - ha detto Maroni - attesta che l'Italia manifesta un'elevata capacità di accoglienza degli immigrati: alcuni episodi di violenza che si sono verificati negli ultimi tempi restano del tutto marginali e sono socialmente rifiutati». «Al contrario di quanto affermano taluni in maniera strumentale e non documentata, l'esame dei dati in possesso del Ministero dell'Interno relativi agli ultimi 4 anni - aggiunge - dimostra per il 2008 un'inversione di tendenza del numero degli atti di violenza ispirati alla discriminazione e all'intolleranza. Numero di episodi che invece nel triennio 2005-2007 aveva registrato un progressivo aumento».
Quando la sinistra strumentalizza a fini politici alcuni brutti e isolati episodi di violenza contro gli stranieri residenti nel nostro Paese, paventando una deriva razzista ed attribuendo la colpa di tutto questo alle politiche del governo, non solo palesa la mancanza di idee alternative a quelle del centrodestra ma, soprattutto, arreca un danno alla pacifica convivenza civile, perché cerca in tutti i modi di alzare il livello dello scontro. Non hanno ancora capito che quello che serve sono i pompieri intelligenti e non gli incendiari barricaderi anche perché, con il gran numero di clandestini arrivati nel nostro Paese solo nel 2008, serve un giusto equilibrio tra rigore e accoglienza se non si vuole stimolare irresponsabilmente il clima di tensione nel Paese. La politica del governo di centrosinistra, in quest'ottica, rischiava di mettere realmente fuoco alle polveri con il lassismo dimostrato sul fronte della sicurezza ed il parallelo attivismo nel cercare in tutti i modi di aprire in maniera indiscriminata le nostre frontiere. Quindi se ora il Governo di centrodestra agisce con rigore in materia è solo perché chi c'era prima si è dimostrato lassista.
Sì al lavoro qualificato, no allo sfruttamento dei clandestini
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
Possono arrivare fino a 10.000 dollari le «tariffe» per il trasporto in Italia degli immigrati clandestini da parte delle organizzazioni criminali. A fornire le cifre è stato il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, nel corso del convegno "Le schiavitù del XXI secolo: tratta degli esseri umani e lavoro forzato", organizzato dall'Unione forense per la tutela dei diritti dell'uomo. «Solo nell'ultimo tratto, cioè tra il Nord Africa e le coste europee, ad esempio Lampedusa, le tariffe - ha detto Mantovano - si aggirano sui 1.000-1.200 dollari. Dalla Cina si arriva a 8.000, 10.000 dollari». Un imponente giro d'affari, col quale le organizzazioni criminali sfruttano i clandestini, «spesso costretti al lavoro nero, alla prostituzione o all'accattonaggio solo per ripagarsi il debito contratto». «E' un dato acquisito - ha aggiunto il sottosegretario - il collegamento tra la tratta di esseri umani e i flussi di clandestini: i confini sono labili». E in un quadro di lotta a questi fenomeni, anche le ordinanze dei sindaci in tema di sicurezza, se «non sono la bacchetta magica, rappresentano un tassello non secondario, un contributo non privo di risultati concreti, perché impongono agli sfruttatori di cambiare strategia». E' proprio questo il punto. Non ci sono bacchette magiche ed occorrono azioni di buon senso che siano di lungo respiro.
Se c'è immigrazione clandestina vuol dire anche che vi sono una domanda ed una offerta di lavoro nero relativo alle basse qualifiche professionali. Gli immigrati non possono essere visti solo come manodopera a basso costo, utile soltanto per alcuni datori di lavoro senza scrupoli, che se ne servono per rimanere competitivi sul mercato globale e che si disinteressano totalmente dei costi sociali di questa operazione - costi che si riversano sugli stessi immigrati, ma anche sui cittadini. Questa via non può essere perseguita, oltre che per questioni di carattere umano, anche perché essa impoverisce il tessuto produttivo del paese, che invece dovrebbe puntare con decisione sull'innovazione tecnologica e la formazione professionale. Nel nostro paese dobbiamo creare le condizioni per uno sviluppo produttivo sostenibile nel lungo periodo e non riprodurre entro i nostri confini delle enclavi di sfruttamento del lavoro nero che certo non fanno parte del bagaglio culturale di un paese civile. Il governo, sia con il pacchetto sicurezza che con gli interventi per liberare il mercato del lavoro dall'opprimente burocrazia, s'è adoperato in maniera concreta, dimostrando di voler percorrere la strada dello sviluppo virtuoso del nostro sistema produttivo.
Ma anche dall'Europa arrivano notizie positive, che fanno ben sperare per il futuro. I rappresentanti permanenti dei ventisette Stati membri dell'Unione Europea hanno trovato un'intesa sulla blue card, quella che nelle intenzioni della Commissione Ue dovrebbe essere la risposta alla green card Usa per attirare lavoratori stranieri altamente qualificati nel Vecchio Continente.
Il segnale che viene dal governo e dall'Europa è molto positivo: c'è l'intenzione politica di voler intraprendere la via del lavoro qualificato come strumento per rispondere alle sfide dettate dal mercato globale in tema di competitività, anziché quella dello sfruttamento della manodopera a basso costo (e spesso e volentieri in nero) dei cittadini-lavoratori e degli extracomunitari. Il lavoro qualificato rappresenta il modello ideale per aumentare la produttività dei lavoratori, perché punta sullo sviluppo delle capacità professionali, attraverso il continuo aggiornamento delle proprie conoscenze, su un giusto salario, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, su una corretta informazione dei lavoratori sui pericoli del proprio impiego.
I flussi migratori e l'impatto sul welfare state
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
«Gli immigrati regolari in Italia sono tra i 3,5 e i 4 milioni. Lo dice il XVIII rapporto sull'immigrazione della Caritas/Migrantes, facendo notare anche che nel 2007 il numero è cresciuto di diverse centinaia di migliaia rispetto all'anno precedente (dato peraltro confermato dall'Istat ) -. Più di 2 milioni (62,5%) sono al Nord, circa 1 milione (25%) al Centro e quasi mezzo milione (12,5%) al Sud.
Le regioni con il maggior numero di immigrati stranieri sono Lombardia (815.000 residenti e circa 910.000 presenze regolari) e Lazio (391.000 residenti e 423.000 presenze regolari). La presenza straniera è in media di 1 ogni 15 residenti, 1 ogni 15 studenti, quasi 1 ogni 10 lavoratori occupati. Su 1/10 dei matrimoni celebrati in Italia è coinvolto un partner straniero (24.020 matrimoni su 245.992 totali), così come 1/10 delle nuove nascite va attribuito a entrambi i genitori stranieri. Gli immigrati sono una popolazione giovane: l'80% ha meno di 45 anni, mentre sono pochi quelli che superano i 55; 800.000 di loro sono minori, più di 600.000 studenti, più di 450.000 persone nate sul posto. Concorrono per il 9% alla creazione del Pil, coprono abbondantemente le spese sostenute per i servizi e l'assistenza con 3,7 miliardi di euro utilizzati come gettito fiscale (secondo la stima Dossier). Insomma, sono una presenza significativa e producono ricchezza. Si legge nel rapporto: «Tra gli italiani e gli immigrati la connessione sta diventando sempre più stretta, gli uni non possono andare avanti senza gli altri, sebbene accanto a innegabili vantaggi si pongano anche problemi da superare. Conviene soffermarsi su tre aspetti, che attestano l'esistenza di legami sempre più forti e mostrano quanto non sia ragionevole ipotizzare una netta «separazione» tra popolazione italiana e popolazione immigrata». Cadono, semmai ci fosse ancora bisogno di fatti e non chiacchiere campate per aria, tutte quelle accuse scomposte da parte della sinistra che paventava in maniera irresponsabile una sorta di deriva razzista nel nostro Paese.
Si legge ancora nel Rapporto: «Le denunce presentate contro cittadini stranieri da 89.390 nel 2001 sono diventate 130.458 nel 2005, su un totale di 550.990 (ultimo dato Istat disponibile). L'aumento complessivo delle denunce nel quinquennio è stato del 45,9% e nello stesso periodo l'incidenza della criminalità straniera (regolare e non) è passata dal 17,4% al 23,7%, mentre la presenza straniera regolare è raddoppiata (da 1.334.889 a 2.670.514 residenti stranieri). Solitamente si afferma che gli stranieri abbiano un più alto tasso di delinquenza degli italiani, senza tenere conto che la "popolazione straniera" coinvolta nelle denunce include anche gli immigrati irregolari e le persone di passaggio, dai turisti agli uomini d'affari, non quantificabili con esattezza».
Già il Rapporto sulla criminalità dal Ministero dell'Interno segnalava che «nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia. E gli stranieri regolari sono meno del 5% della popolazione residente. (...) Del resto la quota di stranieri regolari denunciati sul totale degli stranieri regolari in Italia si ferma al 2% circa». E' chiaro, quindi, che il nodo da sciogliere in tema di sicurezza è quello sull'ingresso e la permanenza regolare degli stranieri nel nostro Paese: gli immigrati sono una ricchezza se vengono rispettate le regole.
Ma quello che l'interessante dossier non dice è che un Paese, che ha a cuore il suo futuro, non può perseguire la politica delle porte aperte per tutti e dell'assistenzialismo indiscriminato. Pena la crescita della paura e della diffidenza nei confronti dello straniero, con tutto il carico negativo che questo porta, soprattutto con una crisi economica sul groppone che complica e non poco la situazione. Intervenire sui flussi, in maniera che gli ingressi siano modulati in base alle reali forze di un Paese in tema accoglienza (cosa che non comporta solo la valutazione delle richieste da parte dei datori di lavoro, ma anche il tipo di impatto sul nostro welfare state) sembra essere l'unica strada perseguibile se si vuole evitare di alimentare pericolose tensioni sociali.
Sinistra ancora contro la Bossi-Fini
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
In una intervista rilasciata al Corriere della Sera il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, ha proposto il congelamento della Bossi-Fini per due anni: «Nessuno si chiede che cosa succede ai lavoratori stranieri nel momento in cui perdono il lavoro. Sono quattro milioni, sono stati assunti per fare lavori che nessuno avrebbe fatto, e producono il 10% del reddito nazionale. In base alle norme attuali perderebbero, insieme al lavoro, anche il titolo per restare in Italia. Siccome sono persone che hanno lavorato, e lavorato bene, non avrebbe alcun senso mandarle via per poi richiamarle quando l'economia dovesse riprendere. Né per loro né per il nostro Paese. Allora la Cgil proporrà di sospendere l'efficacia della legge Bossi-Fini per due anni, allo scopo di consentire a queste persone di trovare una nuova occupazione». Quanti si troverebbero in questa condizione? «Sicuramente decine di migliaia».
Innanzitutto Epifani sbaglia quando chiede a testa bassa una sospensione della legge e non alcune modifiche migliorative. Parte con il piede sbagliato perché il suo intento sembra più quello di voler attaccare l'intero impianto normativo in tema di immigrazione e non, invece, rilevare alcune sue criticità per arrivare ad un miglioramento del testo. Pensiamo al caos prodotto dal vuoto normativo e soprattutto al messaggio sbagliato che arriverebbe fuori dai nostri confini qualora la richiesta di Epifani venisse accolta. Ricordiamo, a riguardo, che già la Corte di Cassazione aveva di recente rimarcato l'esigenza di evitare che l'Italia fosse considerata il «ventre molle dell'immigrazione clandestina» e di tutelare, con la linea dura alle nostre frontiere, anche «gli altri Stati dell'Unione Europea» (Corte di Cassazione, Sezione I Penale, Sentenza 8 febbraio 2008, n. 6398).
Guardiamo poi al merito della questione. L'impianto della Bossi-Fini si regge sul collegamento tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Nel 2007, nel corso di una audizione presso la Commissione agricoltura della Camera, l'allora ministro del Lavoro del governo di centrosinistra, Cesare Damiano, aveva criticato la legge proprio su questo punto: «Sarebbe assai utile, a mio avviso, una revisione della legge Bossi-Fini per quanto attiene al troppo stretto legame tra permesso di soggiorno e contratto di lavoro. Ciò infatti non riduce ma anzi aumenta l'immigrazione clandestina, facendo apparire come irregolare anche chi, sostanzialmente, tale non è... Lo stesso "decreto flussi" si è dimostrato un sistema troppo vincolante».
Tuttavia è dai tempi del Consiglio Europeo di Tampere dell'ottobre 1999 che si mira a lanciare in ambito europeo una discussione approfondita proprio sull'immigrazione per cause economiche. Nel Libro Verde della Commissione Europea del 2005 «Sull'approccio dell'Unione Europea alla gestione della migrazione economica» si segnalava che «la Commissione ritiene che l'ammissione dei migranti per motivi economici sia la pietra miliare della politica in materia di immigrazione e che sia pertanto necessario affrontarla a livello europeo nel quadro di una progressiva evoluzione di una coerente politica comunitaria dell'immigrazione». Ma, soprattutto, si prendeva atto che «nella maggioranza degli Stati membri i cittadini di Paesi terzi devono essere già in possesso di un permesso di lavoro prima che la loro domanda di permesso di soggiorno possa essere esaminata». Questo vuol dire che il venir meno di quel legame non farebbe altro che allontanarci dall'Europa. E quale sarebbe poi l'alternativa? L'impianto proposto dal centrosinistra con il disegno di legge a firma Amato-Ferrero, presentato nella scorsa legislatura, con l'istituto della «sponsorizzazione» (ossia garanti pubblici e privati per gli immigrati che vengono sul nostro territorio per motivi di lavoro pur non avendo un contratto) e quello dell'«autosponsorizzazione» (immigrati che vengono in Italia per motivi di lavoro senza avere un contratto ma in possesso di adeguate risorse finanziarie)? In pratica, l'alternativa alla legge Bossi-Fini sarebbe o il caos prodotto dal vuoto normativo oppure due strumenti giuridici in grado di trasformare involontariamente l'Italia nella più grande lavanderia mondiale del denaro sporco e nella direttrice preferita per la tratta degli esseri umani.
Insomma, una cosa è cercare di trovare nuove forme per meglio integrare chi già lavora in Italia, evitando che la leva dell'immigrazione venga sfruttata per un cinico gioco al ribasso dei salari e della qualità del lavoro nel mercato, e tutt'altra è parlare di sospensione della legge.
Sindacati e immigrazione
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
«La legge Bossi-Fini è moralmente e socialmente una schifezza». Così si è espresso ad inizio novembre il leader della Cgil, Guglielmo Epifani, a Roma, dal palco dell'assemblea dei quadri e dei delegati sull'attuale legge sull'immigrazione. «Chi ti ha aiutato in anni buoni paga due volte per la crisi perché perde il lavoro ed è costretto a tornare a casa», ha aggiunto, ribadendo la richiesta del sindacato di «sospendere per due anni, per il tempo necessario a che passi la bufera, la legge Bossi-Fini». Insomma, Epifani ha insistito con la sua proposta e l'ha inquadrata in un pacchetto di richieste da fare al governo: riduzione del prelievo fiscale sui salari e sulle pensioni nel prossimo biennio, immediata agevolazione nella ricontrattazione dei mutui, utilizzo delle risorse destinate alla detassazione degli straordinari sul fronte del lavoro precario ed infine, appunto, congelamento della legge Bossi-Fini per due anni.
Ma perché tutta questa agitazione sull'immigrazione? Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas-Migrantes 2008 gli stranieri iscritti ai sindacati confederali sono 814.311, ossia il 5% del totale degli iscritti ed il 12% degli iscritti attivi (senza cioè tenere conto dei pensionati). Nel 2003 i sindacati confederali contavano 334.000 iscritti stranieri (131.000 la Cgil, 128.000 la Cisl e 75.000 la Uil) e questo vuol dire che nell'arco di soli 5 anni l'incidenza degli stranieri sul totale degli iscritti è più che raddoppiata.
Quanti soldi portano gli stranieri nelle casse della «Triplice»? Il tema è scivoloso: non può essere data una informazione certa visto che, come tutti sappiamo, i sindacati non sono tenuti a rendere pubblici i propri bilanci. Tuttavia, contando trattenute sindacali e attività di Caaf e Patronati rimborsate dallo Stato, secondo una inchiesta fatta da "Stranieri in Italia" (importante ed autorevole casa editrice specializzata in prodotti e servizi editoriali per gli stranieri residenti in Italia), nel 2005 i sindacati confederali avrebbero incassato circa 55 milioni di euro grazie agli iscritti immigrati, contando però su una platea di 334.000 persone. Visto che, secondo gli ultimi dati ufficiali, le iscrizioni degli stranieri alla «Triplice» sono più che raddoppiate rispetto a quelle su cui si basava il calcolo fatto da "Stranieri in Italia", il flusso di denaro oggi dovrebbe superare ampiamente i 100 milioni di euro all'anno. C'è da segnalare, tuttavia, che la citata inchiesta del 2005 portò ad una replica dei sindacati e ad una controreplica di "Stranieri in Italia".
Ma non c'è, ovviamente, solo il tema degli introiti a giustificare il sempre maggior peso delle tematiche relative all'immigrazione nell'ambito delle iniziative sindacali. Un'altra questione di fondo è data dal fatto che gli immigrati potrebbero rappresentare per i confederali, vista la loro presenza sempre più massiccia nella società italiana e la loro crescente incidenza negli iscritti ai sindacati, una risorsa su cui investire per le future lotte di piazza, per continuare ad avere visibilità e potere di incidere sulle dinamiche relative allo sviluppo del Paese. Non a caso, in uno studio redatto da Franco Bentivogli e Maria Immacolata Macioti, pubblicato sul sito della Uil, si segnalava che «naturalmente questa accresciuta presenza pone anche problemi nuovi al sindacato, sia sul piano organizzativo, per quanto riguarda le risorse, sia su quello politico, per quanto riguarda la composizione delle rappresentanze e le modalità di formazione della decisioni».
L'International Migration Outlook 2008
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
È stato poco dopo la metà di novembre presso la sede del Cnel, a Roma, il rapporto Ocse-Sopemi International migration outlook. Esso rileva come si sia ormai consolidata la presenza in Italia degli immigrati: 3.432.651 persone e 1.684.906 famiglie con almeno un componente straniero, pari al 6,9% del totale. Dal rapporto emerge in primo luogo la crescente stabilizzazione che caratterizza la presenza immigrata: di pari passo con l'aumento della popolazione residente (+246,1% negli ultimi 10 anni) e regolarmente soggiornante (+144,9%), nell'arco di due lustri sono triplicati i matrimoni con almeno un coniuge straniero, che sono 34.396, pari al 14% del totale, ed è cresciuto il numero delle nascite di figli da genitori stranieri, che nell'ultimo anno sono state oltre 64.000, l'11,4% del totale. Gli alunni stranieri iscritti nell'anno scolastico 2007/08 erano 574.133, il 6,4% degli studenti. È cresciuto del 136% dal 2001 ad oggi il numero dei lavoratori stranieri, che al 2007 sono 1.502.419. Spia di un processo lento ma virtuoso di integrazione economica è anche la crescita delle imprese costituite da immigrati, che nel 2008 sono oltre 165 mila.
Dal rapporto emergono anche elementi di criticità, come ad esempio la tendenza sempre più evidente ad accostare l'immigrazione alla sicurezza, sino al diffondersi nella società di un razzismo «silente». Indicativo, a questo proposito, secondo il rapporto, è che il 30% di chi vive nei Comuni con oltre 10 mila abitanti consideri l'immigrazione un problema di ordine pubblico, mentre il 10,8% arriva a considerarla una minaccia.
Ma perché questi dati? Gli italiani sono diventati razzisti? Certamente no. Gli ingressi degli immigrati sono legati oggi solo ai posti di lavoro disponibili, mentre non vengono presi realmente in considerazione altri aspetti fondamentali come l'impatto sul welfare State (assistenza all'anzianità, disoccupazione, assistenza sanitaria, istruzione), quello sulle politiche abitative e l'andamento dell'economia nostrana nel medio-lungo periodo. In Italia, come nel resto del mondo occidentale, la leva dell'immigrazione viene spesso usata dal sistema produttivo solo per rispondere in maniera impropria alle sfide del mercato globale e cioè attraverso i bassi salari pagati ai lavoratori stranieri con basse qualifiche professionali. L'International Migration Outlook 2008 segnala che, in materia di immigrazione, l'Italia «resta in gran parte orientata verso la bassa qualifica professionale», ma anche che in tutto il mondo gli stranieri vengono sottopagati rispetto ai lavoratori-cittadini.
Questa visione limitata determina una situazione nella quale il lavoratore immigrato (regolare o meno) viene considerato solo come manodopera e non come una persona che, alla pari del cittadino, vive nella società e che, quindi, ha bisogno di un appartamento, di servizi, di mangiare, in molti casi di mandare i soldi alla sua famiglia nel paese di origine, ecc... I benefici economici di tale deprecabile operazione vanno esclusivamente ai pochi che sfruttano questa situazione nel sistema produttivo, mentre i costi economici e sociali si riversano tutti sulle spalle dello Stato e, quindi, di tutti i cittadini. Se a questo aggiungiamo che la convivenza è qualcosa di per sé difficile e che, anche se l'immigrato non lavora, deve pur vivere, allora riusciremo a dare una qualche risposta razionale ai dati del Rapporto Ocse-Sopemi.
Quanto al legame tra immigrazione e criminalità, nel Rapporto sulla criminalità in Italia, presentato il 20 giugno del 2007 dal ministro dell'Interno dell'ultimo governo di centrosinistra, Giuliano Amato, si legge chiaramente che «negli ultimi vent'anni è cresciuto sensibilmente il contributo fornito dagli stranieri di determinate nazionalità alla diffusione di alcuni reati, in particolare quelli contro la proprietà (i furti e le rapine), i reati violenti, i reati connessi ai mercati illeciti della droga e della prostituzione. Tale contributo appare sproporzionato per eccesso rispetto alla quota di stranieri residenti nel nostro Paese, anche se si tiene conto della presenza di stranieri non documentata». E ancora: «È importante sottolineare che la netta maggioranza di questi reati viene commessa da stranieri irregolari, mentre quelli regolari hanno una delittuosità non molto dissimile dalla popolazione italiana... Nel complesso gli stranieri regolari denunciati sono stati nel 2006 quasi il 6% del totale dei denunciati in Italia». E' chiaro, quindi, che il problema del rapporto tra immigrazione e criminalità si riconduce in gran parte al contrasto del fenomeno dell'immigrazione clandestina (stranieri entrati in Italia senza regolare visto di ingresso) e, soprattutto, di quella irregolare (stranieri che hanno perduto i requisiti necessari per la permanenza sul territorio nazionale, di cui erano però in possesso all'ingresso in Italia).
I timori degli italiani, come quelli dei cittadini di tutti i Paesi occidentali, non sono quindi frutto di un becero razzismo (neanche «silente», come viene scritto nel Rapporto Ocse-Sopemi), ma rappresentano una risposta spontanea della società all'approccio sbagliato delle istituzioni mondiali rispetto al fenomeno dell'immigrazione. E questo dato trova conforto nella crescente stabilizzazione, nel nostro Paese, della componente straniera, che certo non metterebbe radici in un Paese tendenzialmente ostile alla sua presenza. Liquidare tutto come razzismo sarebbe troppo semplice, anche perché guardando a quello che succede in tutto il mondo, dagli Stati Uniti alla Francia, dall'Australia alla Spagna, dalla Francia all'Inghilterra, dovremmo arrivare all'assurda conclusione che i cittadini di tutti questi paesi ed i loro governi sono razzisti.
Immigrazione. L'Italia è un paese accogliente
di Antonio Maglietta pubblicato su www.ragionpolitica.it
«Non si deve criminalizzare chi vuole emigrare in un altro Paese». Lo ha sottolineato il commissario del Consiglio d'Europa per i diritti dell'uomo Thomas Hammarberg intervenendo a metà gennaio in audizione a Palazzo Madama presso la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Il commissario ha ricordato, infatti, anche in relazione alle politiche che l'Italia sta adottando in materia di immigrazione come il reato di clandestinità, che «si tratta di persone disperate e credo che non sia giusto considerare gli immigrati come criminali solo perché sfuggono alla repressione e cercano una vita migliore. Se non c'è lavoro per loro quando arrivano in Italia - ha continuato Hammarberg - ovviamente dovranno essere respinti o dovranno lasciare il paese, ma queste persone non vanno criminalizzate e non va scritta una fedina penale a loro carico». Tuttavia, per quanto riguarda l'Italia, il commissario ha ricordato che insieme ad altri Paesi il nostro «è in prima linea» per quanto riguarda i flussi migratori e ha bisogno di un «maggior supporto» da parte degli altri Paesi europei. Il commissario ha poi annunciato che «a febbraio» sarà pronta la sua nuova relazione sul rispetto dei diritti umani in Italia.
E allora visto che lo stesso commissario ammette la particolarità della situazione dell'Italia, anche a causa della sua collocazione geografica, perché non attiva i suoi uffici per aumentare i fondi europei per migliorare le politiche di accoglienza da destinare ai Paesi della frontiera sud dell'Unione Europea e cioè a quelli più esposti ai flussi di immigrati (stanziali o di semplice passaggio)? Sarebbe una scelta di buon senso nell'interesse di tutti i Paesi europei, certamente più utile del polverone sollevato con queste sue incaute dichiarazioni.
Gli stessi irriguardosi concetti verso il nostro Paese sono stati messi anche nero su bianco sulle pagine del quotidiano La Repubblica, dove Hammarberg in una intervista, con riferimento ad alcune disposizioni del disegno di legge sulla sicurezza in discussione al Senato, ha parlato irresponsabilmente di leggi discriminatorie ed incivili che non rispettano i diritti umani come quella che considera reato o comunque una aggravante l'immigrazione clandestina.
Ma il commissario bacchetterà anche Francia e Germania visto che norme simili esistono anche in quei Paesi? Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha incaricato il rappresentante permanente presso il Consiglio d'Europa di svolgere un passo ufficiale nei confronti del Presidente dell'Assemblea e del Segretario Generale, manifestando «il forte sconcerto» e la protesta dell'Italia per le dichiarazioni rilasciate da Thomas Hammarberg, commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa, al quotidiano La Repubblica. Hammarberg ha parlato di comportamenti dell'Italia «incivili» e di leggi «discriminatorie», «offendendo gravemente i sentimenti degli italiani - ha spiegato la Farnesina in una nota - e rivolgendosi in modo inaccettabile ad un Paese europeo la cui storia e tradizione di democrazia, tolleranza e rispetto dei diritti umani non possono essere messe in discussione».
La cosa che più infastidisce di questa vicenda è che troppo spesso alcuni rappresentanti delle istituzioni sovranazionali indossano i panni dei maestrini sapienti, molto attenti nel diffondere inutili dichiarazioni pseudo-buoniste quanto altrettanto distratti nel valutare attentamente la realtà dei fatti. Basterebbe mostrare al commissario Hammarberg l'encomiabile lavoro svolto dalle nostre forze di polizia nel soccorrere gli immigrati in difficoltà sulle carrette del mare per rispedire al mittente l'accusa di «inciviltà».
L'Italia è da sempre un paese accogliente e lo dimostrano i freddi numeri come i dati in crescita degli immigrati stanziali ed il costante aumento delle richieste di permesso di soggiorno per motivi di famiglia: uno straniero che crede di vivere in un paese incivile che lo discrimina non penserebbe certamente di rendere stanziale la sua permanenza in quel posto, ricongiungendosi peraltro con i suoi familiari. La miglior riposta alle accuse di Hammarberg è nei numeri, nelle immagini che arrivano da Lampedusa e nella storia del nostro Paese.
Antonio Maglietta
articoli pubblicati sulla rivista on-line Ragion Politica www.ragionpolitica.it
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