di Emanuela Melchiorre
La Commissione europea ha concordato da fine novembre un pacchetto da 200 miliardi di euro, pari all'1,5% del Pil dell'Ue a 27 paesi, per affrontare la crisi finanziaria ed economica. Il piano proposto dalla Commissione è finanziato in gran parte dai governi nazionali, mentre una quota minoritaria, pari allo 0,3%, sarà a carico del bilancio dell'Unione e della Banca Europea per gli Investimenti. Se si considera, però, il fatto che il bilancio comunitario è comunque finanziato dalle imposte nazionali, si può concludere che l'intero piano sia a carico delle risorse finanziarie dei singoli paesi. Costituisce in ogni caso un piano di sostegno piuttosto deludente, nonostante le parole di José Manuel Barroso, presidente della Commissione europea, che lo ha definito «una risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti». La risposta sembra infatti inadeguata alla gravità della crisi e la cifra cui i governi potranno attingere non appare confrontabile con quella degli Stati Uniti, che hanno già stanziato 1.500 miliardi di dollari, tra il Piano Paulson di 700 miliardi e i successivi interventi straordinari di 800 miliardi. Sembra che in questa occasione la Commissione abbia invece partorito un topolino per fare fronte ad una crisi finanziaria di dimensioni elefantiache.
Inoltre, occorre considerare che l'ammontare complessivo non sarà raccolto in modo uniforme, ma sarà versato dai governi nazionali in proporzione alle differenti economie. Nell'Unione a 27 paesi, quelli più grandi in termini economici sono Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna (che messi insieme concentrano più del 70% del Pil, espresso a parità di potere di acquisto). Pertanto, il finanziamento del piano sarà a carico prevalentemente di questi paesi. Non è ancora del tutto chiaro quale criterio, invece, seguirà la ripartizione delle risorse raccolte, ma è presumibile pensare che verranno ripartite in relazione alle esigenze delle economie, nel senso che le economie di recente ingresso e in ritardo economico, come i paesi dell'Europa dell'Est, riceveranno una quota di aiuti maggiore rispetto a quella ricevuta dai paesi maggiormente finanziatori. Pertanto, durante l'attuale crisi finanziaria che non risparmia nessuno, da Est a Ovest, in seno all'Ue ci si pone comunque la questione di ripartire le risorse che ancora non sono state prodotte, il cui prelievo, data la recessione, può risultare pesante.
Per quanto riguarda la «flessibilità» del Patto di Stabilità, ovvero i livelli massimi del rapporto deficit/Pil e del rapporto debito/Pil che i paesi membri non dovranno superare, è stato dichiarato che saranno sfruttati i margini di flessibilità previsti dal Patto, che equivalgono a una variazione più simbolica che effettiva e che non saranno congelate le regole europee, come ha sostenuto il commissario europeo agli Affari economici e monetari Joaquin Almunia, come invece avevano auspicato il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkosy. Si fanno scongiuri per evitare una lunga recessione con il pericolo di cadere nella depressione e i commissari europei continuano a perseguire una politica deflazionistica.
Per fare fronte a una crisi generalizzata di colossali dimensioni le politiche di sostegno e di intervento dovrebbero considerare gli effetti di breve periodo e gli effetti di medio-lungo periodo. Va da sé che ogni incentivo al consumo immediato sia una politica che ha effetti immediati anche se non duraturi. Viceversa, politiche di sostegno agli investimenti e quindi all'occupazione hanno respiro più ampio ed effetti duraturi, ma richiedono un lag temporale per il loro espletamento, che al momento attuale costituisce più un lusso che non una scelta. Nel senso che occorre agire nell'immediato, ma anche contemporaneamente porre le basi per le politiche pluriennali.
Inoltre, occorre considerare che l'ammontare complessivo non sarà raccolto in modo uniforme, ma sarà versato dai governi nazionali in proporzione alle differenti economie. Nell'Unione a 27 paesi, quelli più grandi in termini economici sono Germania, Regno Unito, Francia, Italia e Spagna (che messi insieme concentrano più del 70% del Pil, espresso a parità di potere di acquisto). Pertanto, il finanziamento del piano sarà a carico prevalentemente di questi paesi. Non è ancora del tutto chiaro quale criterio, invece, seguirà la ripartizione delle risorse raccolte, ma è presumibile pensare che verranno ripartite in relazione alle esigenze delle economie, nel senso che le economie di recente ingresso e in ritardo economico, come i paesi dell'Europa dell'Est, riceveranno una quota di aiuti maggiore rispetto a quella ricevuta dai paesi maggiormente finanziatori. Pertanto, durante l'attuale crisi finanziaria che non risparmia nessuno, da Est a Ovest, in seno all'Ue ci si pone comunque la questione di ripartire le risorse che ancora non sono state prodotte, il cui prelievo, data la recessione, può risultare pesante.
Per quanto riguarda la «flessibilità» del Patto di Stabilità, ovvero i livelli massimi del rapporto deficit/Pil e del rapporto debito/Pil che i paesi membri non dovranno superare, è stato dichiarato che saranno sfruttati i margini di flessibilità previsti dal Patto, che equivalgono a una variazione più simbolica che effettiva e che non saranno congelate le regole europee, come ha sostenuto il commissario europeo agli Affari economici e monetari Joaquin Almunia, come invece avevano auspicato il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkosy. Si fanno scongiuri per evitare una lunga recessione con il pericolo di cadere nella depressione e i commissari europei continuano a perseguire una politica deflazionistica.
Per fare fronte a una crisi generalizzata di colossali dimensioni le politiche di sostegno e di intervento dovrebbero considerare gli effetti di breve periodo e gli effetti di medio-lungo periodo. Va da sé che ogni incentivo al consumo immediato sia una politica che ha effetti immediati anche se non duraturi. Viceversa, politiche di sostegno agli investimenti e quindi all'occupazione hanno respiro più ampio ed effetti duraturi, ma richiedono un lag temporale per il loro espletamento, che al momento attuale costituisce più un lusso che non una scelta. Nel senso che occorre agire nell'immediato, ma anche contemporaneamente porre le basi per le politiche pluriennali.
Trascurare il breve periodo significa compromettere gli effetti di medio periodo.
Riguardo l'incentivo ai consumi e alla domanda immediata, Bruxelles propone la riduzione dei tassi Iva, limitatamente però ai «prodotti verdi» e ai servizi per il settore delle costruzioni. In precedenza aveva proposto riduzioni permanenti per i servizi ad alta intensità di lavoro e, su tale proposta, la Ue dovrebbe decidere entro primavera, termine che comunque è piuttosto lontano nel tempo. Quanto all'idea di una riduzione generalizzata temporanea dell'Iva, come quella decisa a Londra dal primo ministro Gordon Brown, Bruxelles indica che, per dare un impulso fiscale al sostegno dei consumi, può essere introdotta rapidamente una riduzione temporanea delle aliquote standard. Ci si deve augurare che tali concessioni siano sufficienti per il sostegno alla domanda, poiché non sembra che ci siano state altre proposte, né in seno all'Ue, né a livello nazionale, social card a parte, per aiutare i consumi.
Il piano Ue prevede che ogni paese possa ottenere l'autorizzazione per facilitare l'accesso delle imprese al capitale attraverso garanzie e prestiti per investimenti, mentre sono esclusi interventi pubblici diretti a sostegno delle imprese in difficoltà. Inoltre, sono ammessi sostegni nell'ambito della ricerca, dell'innovazione, della protezione ambientale, delle tecnologie pulite, dei trasporti e nell'ambito dell'energia. Oltre al fatto che non sia stato fatto alcun accenno all'energia atomica, unica fonte realmente alternativa al petrolio, occorre considerare anche che investire in ricerca e innovazione è sempre una politica desiderabile, ma più tipica di periodi di «vacche grasse» piuttosto che di crisi e di redistribuzione di scarse risorse.
Nel complesso la Commissione di Bruxelles spende, come di consueto, molte parole e nei fatti rimanda le attese alle possibilità della Banca europea per gli Investimenti, che non sono illimitate e che ha previsto un intervento totale di 15,6 miliardi, sia nel 2009 sia nel 2010, prevalentemente destinati alle piccole e medie imprese. Inoltre, gli interventi in sede comunitaria corrono il rischio di subire i soliti ritardi burocratici. C'è da sperare che qualche miglioramento sia possibile quando il piano sarà sottoposto al giudizio dell'Ecofin, il consiglio dei ministri dell'economia e delle finanze dei paesi membri, di martedì prossimo e poi, tra due settimane, a quello dei capi di stato e di governo.
Emanuela Melchiorre
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