di Orlando Sacchelli www.ideelibere.it
Orlando Sacchelli
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Se chiedete a una persona comune, un normale cittadino israeliano, cosa desideri di più in questo momento vi risponderà "la pace". Se fate la medesima domanda a un palestinese della Striscia di Gaza vi risponderà la stessa cosa. Da una parte e dall'altra della barricata i sogni sono gli stessi. Dunque, dove sta il problema? La risposta è semplice: nell'odio, ormai stratificato da decenni. La fazione palestinese più integralista, quella di Hamas - sostenuta dall'Iran [e non solo] - nega il diritto di Israele di esistere. Gerusalemme, da parte sua, oscilla costantemente tra slanci di moderato pacifismo e l'esigenza istintiva di difendersi. Difficile, molto difficile, far ripartire il dialogo. Eppure è doveroso ridare slancio ai progetti di pace. L'Onu ha dimostrato la propria incapacità di agire, bloccata dai veti contrapposti e da inadeguatezza strutturale. Le risoluzioni non hanno alcun potere se non supportate dall'azione politica. La palla passa alla diplomazia dei singoli Stati. Di fronte al nanismo dell'Europa non ci resta che sperare in Obama. Riuscirà il nuovo presidente degli Stati Uniti a imporre la propria strategia in Medio Oriente? Oppure dovrà accontentarsi di vivacchiare facendo finta che il problema non esista per non turbare un prezioso alleato - molto influente, come lobby, negli Usa - in un'area strategica d'importanza assoluta? Tra poco sapremo... Di certo se a decidere fosse il popolo, e non i politici che pianificano le opzioni militari con l'occhio alle scadenze elettorali, a quest'ora forse non assisteremmo all'ennesima guerra che il mondo osserva con impotenza e inerzia.
In un articolo su il Giornale Cristiano Gatti ha scritto che le foto dei piccoli corpi straziati, a Gaza, inondano i media ma servono anche, in realtà, alla propaganda di una parte sola. Il teorema che Hamas vorrebbe far passare è questo: i palestinesi vengono massacrati, bambini compresi; gli israeliani uccidono tutti senza pietà. Ovvio fare uno più uno e stabilire, così, chi siano i buoni e chi i cattivi. Sono d'accordo sul fatto che i morti - specie se bambini - non vadano strumentalizzati, né tantomeno le immagini delle vittime. Ma non riesco a immaginare l'utilità di un'informazione che, per non fare torti, eviti di pubblicare queste foto. La guerra va fatta vedere per intero, in tutta la sua drammaticità. Basta con le solite immagini preconfezionate che mostrano i "bombardamenti chirurgici" con la ripresa dall'alto di un edificio, al centro di un mirino elettronico e, dopo pochi secondi, l'esplosione del bersaglio centrato da un missile. Il messaggio che viene fatto passare [già dalla prima guerra del Golfo] è questo: bombardamento chirurgico uguale guerra "sicura". I civili non muoiono, vengono colpiti solo gli obiettivi militari. La realtà purtroppo è ben diversa. Da una parte e dall'altra. Ma perché i giornali dovrebbero mostrare solo questa fuffa? Perché non far vedere, invece, tutto ciò che è possibile mostrare al pubblico? Gatti nel suo articolo denuncia anche il "blocco" a giornalisti e fotoreporter che Hamas [ma anche e soprattutto Israele, ndr] impone sulla Striscia di Gaza. Questo in effetti è vergognoso. Giornalisti e fotografi dovrebbero avere massima libertà. Il problema però non è affatto nuovo. Forse gli israeliani che bombardano o compiono dei rastrellamenti con le truppe di terra si fanno fotografare liberamente in ogni momento? Gli americani per la seconda guerra del Golfo non avevano coniato la figura del giornalista "embedded" proprio per tagliare la testa al toro? Non si vorrà mica dire che il giornalista "embedded" facesse liberamente il proprio lavoro... Sono, questi, i soliti problemi dell'informazione in tempo di guerra. Problemi vecchi quanto il giornalismo. Nell'era globale dell'informazione, nell'era di internet, dei blog e delle news in tempo reale è giusto attendersi qualcosa di più. Se non dai giornalisti almeno dalle persone comuni che, con un semplice cellulare e un pc possono mettere in rete - a disposizione del mondo intero - ciò che accade veramente. In Birmania qualche sprazzo di verità c'è stato proprio grazie alle foto uscite dalle maglie della censura di regime. Lo stesso deve e può accadere a Gaza e in ogni guerra del mondo. E' l'unico modo per superare le strumentalizzazioni.
Orlando Sacchelli
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