L'aspetto più insopportabile è che questa classe di funzionari europei si comporta da vera tirannia che con un semplice protocollo può stroncare il bilancio di un intero stato. L'America non ha bisogno di questi apparati: in questo freddo autunno è bastato il presidente e i più alti responsabili della Fed per intervenire con misure epocali. L'Europa di Bruxelles era nata sulla base della profonda sfiducia verso i governi nazionali all'indomani del secondo conflitto mondiale. Dopo mezzo secolo per fronteggiare la crisi economica si riscopre proprio il valore dello stato, mentre le complicate istituzioni europee, fondate sulla negazione dell'elemento nazionale, si sono dimostrate impotenti. Eppure erano progettate proprio per gestire l'economia molto meglio di un governo nazionale. Nonostante ciò, la recessione è dietro l'angolo. La burocrazia s'inceppa e l'Europa si interroga sul senso della sua unità, molto ideale ma poco efficace.
Questo potere così invisibile e allo stesso tempo così penetrante ha costituito un amore-odio per la politica italiana. La destra non ha mai nascosto le sue perplessità su questa Europa dei banchieri e dei burocrati. In Italia l'unica componente filo-Maastricht era quella ridottissima parte dei liberali che avevano riscoperto le lezioni di Mises e Hayek, veri liberisti che condannavano sempre e comunque i deficit di bilancio. I liberali sono sempre rimasti un'élite molto colta ma politicamente inefficace e questa crisi economica sta dimostrando, per l'ennesima volta, che il liberismo non serve ad uscire dalla crisi. Viceversa la sinistra ha sempre riposto il suo consenso nel progetto europeo - basti pensare alla propaganda di Prodi nel '96 per far entrare la lira italiana nell'euro.
A sinistra hanno visto l'Europa come un' «utopia realistica» su cui trasferire sogni e speranze disilluse in Italia. Abbastanza lontana e complicata da non farne un tema di discussione pubblica, ma abbastanza vicina e facilmente comprensibile per farne un surrogato ideologico in tempi di crisi d'identità. Bruxelles ha quasi sostituito in tanti cuori della sinistra quello che era Mosca ai tempi della falce col martello: il simbolo di un mondo migliore che però non poteva essere realizzato a Roma. Questa carica affettiva ha però implicato un consenso politico a strategie economiche in aspro contrasto con i principi della sinistra. Così è nato il paradosso di una sinistra europea che sposava il monetarismo tipico della destra americana solo perché i banchieri di Francoforte erano strenui paladini della lotta all'inflazione. Invece che difendere il potere d'acquisto degli operai, la sinistra si è arruolata nella lotta all'inflazione. Nel 2006 lo stesso Prodi impose un regime fiscale del terrore pur di osservare i dogmi di Maastricht, anche al costo di sprecare l'ultima fase di crescita. Adesso che i principali governi europei guardano a destra, è chiaro che la sinistra di oggi deve battere in ritirata. Ma c'è un paradosso: la sinistra di oggi scopre che la destra aveva ragione perché in materia economica pensava come la vecchia sinistra.
Le deroghe a Maastricht sono destinate a lasciare il segno. Sono una rivoluzione istituzionale che ha liberato i governi dalle catene della tecnocrazia finanziaria europea. Il ritorno dello stato come soggetto economico e non solo come oggetto dell'autorità di una tecnocrazia significa la rivalutazione dell'elemento nazionale e una nuova prospettiva per l'Europa: meno Bruxelles, più stato; meno burocrazia, più democrazia. Se è vero che oggi la politica economica vale più della politica estera e che il crollo di Wall Street produce più danni di una bomba, allora è anche vero che da oggi i soldi dei cittadini europei non sono più gestiti da impassibili burocrati stranieri ma dai governi che questi cittadini hanno eletto.
Gabriele Cazzulini
pubblicato su www.ragionpolitica.it il 26 novembre 2008
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