di Gabriele Cazzulini pubblicato su www.ragionpolitica.it
«Adelante con juicio!» raccomandava don Antonio Ferrer, cancelliere di Milano, al suo cocchiere mentre attraversava l'inferocita folla milanese che protestava contro il prezzo del pane. Era Manzoni che, un secolo e mezzo fa, narrava eventi di duecento anni prima. Oggi, terzo millennio, America ed Europa, infettate dalla crisi economica, devono attraversare con molto giudizio un'epoca di cambiamenti imprevisti e complessi. C'è voluta una formidabile crisi economica per chiudere quindici anni di teocrazia contabile e spingere l'Ue a «depenalizzare» gli aiuti statali all'economia. Gli aiuti statali che l'Ue ha deciso di concedere rappresentano, a prima vista, una deroga così forte dalla sua linea di rigore contabile da fare piazza pulita dell'ortodossia di Maastricht. Finora, a parte gli scossoni sugli indici di borsa, la principale vittima della crisi è stata proprio l'ideologia del guinzaglio alla spesa pubblica. Quante ammonizioni, quante procedure d'infrazione, quanti nefasti early warnings la Commissione Europea ha scagliato contro qualunque sgarro, quasi fosse un distretto di polizia che puniva col manganello ogni violazione di legge. Altri tempi, ormai. Oggi il rapporto di un'agenzia di rating sul debito di un Paese non fa notizia neppure in terza pagina.
Il primo vero cambiamento è questo. L'affondamento dell'Europa come libro contabile fa colare a picco quelle politiche nazionali concentrate esclusivamente sulla salute dei conti pubblici. E' la fine di quei partiti, prevalentemente a sinistra, che avevano investito le loro politiche economiche sul rispetto di Maastricht come condizione per il benessere e lo sviluppo - condizione che era fasulla prima e oggi lo diventa pubblicamente. Viceversa per le forze di destra che avevano sempre mal sopportato i lacci europei. E' anche la fine della contraddizione per cui la sinistra adorava il monetarismo della Bce, mentre la destra non aveva problemi ad aprire il portafoglio per sostenere l'economia. L'ultimo centrosinistra aveva incardinato la sua politica sull'obbedienza supina a Maastricht, come se un vincolo di bilancio fosse un valore capace di dare senso ad un'intera nazione. Era l'estremo tentativo di incollare i cocci sparsi di una coalizione impossibile.
Adesso si riaprono vecchi spazi, che erano stati espropriati dall'Europa dell'assolutismo contabile. E' caduto quel muro di Berlino tra Stato e mercato e se lo Stato finanzia il mercato non scatta nessun anatema. I soldi sono tutti uguali, sia che provengano dallo Stato o da privati. Però questa specie di liberazione da Maastricht non concede allo Stato carta bianca per ritornare il monopolista dell'economia. Questo è il rischio principale. Passare dalla padella dell'economia in crisi alla brace dell'economia incatenata allo Stato. Per quanto fosco possa apparire questo revival dell'economia statale, c'è di peggio, almeno in Italia. Il connubio tra capitale e potere è sempre stato molto stretto e diffuso. Dai colossi delle partecipazioni statali fino all'ultima azienda para-statale lo Stato è una grande mammella a cui attaccarsi - e anche controllare. Nella filosofia e nel senso comune lo Stato è potente e non ha eguali. Nella realtà non è così, soprattutto in Italia. Il connubio tra politica ed economia crea fitti circuiti dove soldi e potere scorrono indistinti. E' inevitabile che un'azienda, o una banca, con capitale parzialmente pubblico venga esposta alle logiche della politica che, a sua volta, necessariamente deve adottare una logica economica - e la ricerca del profitto spesso è l'eccezione. Quante storie sul capitalismo statale in cui i salotti della finanza ospitavano i club della politica. E' una grave degenerazione della democrazia ed è questa la reale minaccia dietro all'angolo degli aiuti di Stato.
Troppo spesso, nel passato più recente, si sono formati conglomerati di potere economico-politico che hanno depotenziato la nostra democrazia trasformandola nel consiglio d'amministrazione che ratifica decisioni prese altrove. Insomma, sarebbe il ritorno alle consorterie che pilotavano i partiti e ai partiti che gestivano i bilanci delle aziende. Sono i ricordi di una realtà nebulosa dove soldi e politica s'incrociavano senza più differenze tra democrazia ed economia. Poi si scatenava l'apatia o l'antipolitica di fronte a istituzioni che non governavano, a primi ministri impotenti e a parlamenti frammentati. In Italia la democrazia della maggioranza che governa e del premier che dirige il governo è una conquista troppo importante per finire corrosa così presto. Come il manzoniano Antonio Ferrer prometteva di castigare il colpevole ma aggiungeva in silenzio: «Si es culpable», solo se colpevole, così gli Stati europei devono sostenere le loro economie, ma solo quando serve veramente. La democrazia nasce nell'agorà e vuole ascoltare le orazioni del suo Pericle senza sentire il tintinnio delle monete.
Gabriele Cazzulini
pubblicato su www.ragionpolitica.it
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