venerdì 23 gennaio 2009

Finisce l'era del capitale sovrano


di Aurora Franceschelli pubblicato su www.ragionpolitica.it

La crisi finanziaria è esplosa come un onda sismica negli Stati Uniti e continua a mietere vittime. I banditi della finanza senza scrupoli e senza regole hanno finito per perdere il controllo, giocando sui risparmi dei cittadini americani, emettendo titoli garantiti da mutui non solidi. Il circolo vizioso innescato dai derivati, che si sono rivelati dei pericolosi moltiplicatori dei margini di rischio, la dinamica spietata originata dalla bolla immobiliare, dai mutui subprime e da altri strumenti finanziari sofisticati e allo stesso tempo volatili, hanno contribuito ad aprire una voragine enorme tra l'economia finanziaria e l'economia reale.
Se la finanziarizzazione dell'economia, determinata dall'iniezione «letale» dei derivati, ha provocato la caduta, negli Stati Uniti, di un castello di carta senza fondamenta, cosa accade in Europa? Anche il Vecchio continente è stato contagiato: se, da una parte, sia la decisione della Merkel di garantire tutti i depositi bancari in Germania, sia gli interventi di soccorso messi in campo dagli Stati centrali come quelli belga, irlandese, inglese, greco e olandese sono segnali che delineano uno scenario emergenziale, dall'altra l'Europa può vantare una situazione differente. Da noi la crisi - malgrado le apparenze, e con l'eccezione di Irlanda e Gran Bretagna, Paesi in cui la finanza ha un grande peso - sembra essere meno grave.
L'Europa presenta fondamenti macroeconomici migliori e la sua crescita, anche se bassa, non è stata determinata, come è accaduto negli Usa, dal fattore preponderante dell'indebitamento delle famiglie consumatrici. Se da una parte l'Europa, chi più e chi meno, è stata coinvolta nel gioco della speculazione finanziaria legata ai derivati, e quindi è stata contagiata dalla malattia americana, dall'altra ciò è avvenuto in maniera parziale, e questo perché da noi l'economia reale ha retto maggiormente la forza d'urto dell'economia finanziaria. Paesi come l'Italia, o come la Germania, si fondano su un'economia fatturiera, e quindi tangibile.
L'Italia, da parte sua, ha un sistema bancario non fondato sulla finanza, ma sulla ricchezza reale, su un'economia reale che, pur crescendo a ritmi ormai vicini alo zero per via della congiuntura internazionale, vede le sue esportazioni aumentare ad un ritmo inferiore solo alla Germania. Nel nostro Paese è più forte la tendenza al risparmio e le Banche, anche quelle più internazionalizzate, posseggono quote modeste di attività finanziarie a rischio.


In ogni caso, per evitare che la peste finanziaria, complice l'effetto panico dei mercati, contagi ulteriormente il sistema Europa, sembra necessario, come ha sottolineato Tremonti, effettuare operazioni di prevenzione. In una situazione delicata come quella attuale è fondamentale che gli Stati nazionali si riapproprino delle loro prerogative, e ciò significa che essi debbono poter tornare a governare quei cambiamenti che gli erano sfuggiti di mano: ecco perché, alla riunione dell'Ecofin di inizio ottobre il nostro Governo, per voce di Tremonti, ha riproposto ai ministri dell'Economia dei Paesi membri l'istituzione di un Fondo europeo anticrac, pari al 3% del Pil (proposta bocciata poi a Parigi), in modo tale da dare un segnale forte, capace di soffocare eventuali rigurgiti di panico e rilanciare un clima di ottimismo.
In questo momento storico è giusto che gli Stati intervengano, anche perché l'ondata di panico generale sta paralizzando tutto il sistema: si stanno bloccando, infatti, per i costi altissimi, i prestiti interbancari. Ecco perché, a questo punto della crisi, diventa inevitabile la discesa in campo degli Stati nazionali, poichè essi in questo momento possono evitare che il mercato dei prestiti si blocchi del tutto (il che sarebbe esiziale per l'economia mondiale).
Tremonti ritiene che alle operazioni di breve periodo si debbano affiancare misure di lungo periodo: ed è proprio in un'ottica di più largo respiro che, secondo il ministro dell'Economia, i governi nazionali si dovrebbero muovere, in una direzione che favorisca il «ritorno del diritto come veicolo per introdurre nella vita economica i valori etici». Ecco perché, alla luce di quanto è accaduto, è fondamentale rivedere meccanismi di regolamentazione che hanno dimostrato la loro inadeguatezza. Infatti, da quando si è sviluppato, complice il processo di globalizzazione, un sistema finanziario sempre più esteso (con la crescita dei prodotti finanziari strutturati), quest'ultimo, come sappiamo, ha orientato la mobilità del capitale verso una crescente ricerca di profitti. Purtroppo è accaduto che il capitale, muovendosi alla ricerca della pura rimuneratività, ha finito per essere sempre più autonomo e quindi sovrano, determinando una sorta di «rivoluzione»: tale sovranità esso l'ha esplicata muovendosi in base al puro criterio del profitto, minando i fondamenti di garanzia del risparmio. E' così che il capitale si è trasformato in una sorta di variabile impazzita, slegata dall'andamento dell'economia reale e non frenata da un'adeguata operazione di controllo da parte degli organismi regolatori. La crisi determinata dallo tsunami finanziario americano, dunque, non è altro che l'apice di una tendenza speculatoria la cui rotta va invertita; essa rappresenta, come ha dichiarato Tremonti: «La fine di un Mondo, non la fine del Mondo». Quando la crisi finirà, ha continuato il ministro dell'Economia, «il mondo sarà diverso: più basato sul lavoro e meno sul debito, più sulla manifattura e meno sulla finanza».


In questo contesto anche l'Europa dovrà fare la sua parte: sino a questo momento ha dimostrato di essere sfilacciata, di non avere una linea coerente. Se in ottobre a Parigi si era raggiunto un accordo sulla necessità che si stabilisse un coordinamento volto ad armonizzare gli interventi di ogni Paese membro, ora sembra prevalere l'approccio secondo cui ogni Stato decide da sé, adottando le misure necessarie per proteggere il sistema e per tutelare i singoli risparmiatori. La crisi americana, in ogni caso, pone l'Europa istituzionale e la sua rigida regolamentazione alla prova dei fatti: a vacillare, in questo nuovo scenario, potrebbero essere non solo quelle norme stringenti che limitano gli aiuti di Stato e che potrebbero costituire un fardello da ridimensionare, ma anche il limite del 3% nel rapporto tra deficit e Pil imposto agli Stati membri. Se gli Stati, in questo momento, tendono a riprendersi quella loro sovranità economica che era stata devoluta agli organi europei, che ne sarà dell'Unione europea, un'unione solo economica e monetaria, ma incompiuta dal punto di vista politico?

Aurora Franceschelli

pubblicato su www.ragionpolitica.it

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