venerdì 23 gennaio 2009

I dati economici e le incognite della crisi


di Aurora Franceschelli pubblicato su www.ragionpolitica.it

Le nubi di una prolungata recessione sembrano offuscare, raddensandosi, gli orizzonti del Belpaese: le previsioni stilate a metà di questo mese da Bankitalia sembrano impietose, tese a evidenziare un panorama fosco per la nostra economia, caratterizzato da una decisa contrazione del Pil, che si attesterebbe, secondo le stime di Palazzo Koch, addirittura al -2%. A risentire meno della crisi, all'interno del quadro di tendenziale peggioramento degli indicatori economici, dovrebbero essere, secondo quanto riferito da Mario Draghi, i consumi interni, complice un forte ridimensionamento, nel 2009, dell'inflazione, che dovrebbe scendere dal 3,5 % di quest'anno ad un livello molto più contenuto (1,1%).
I numeri elaborati da Bankitalia rappresentano, dati alla mano, una fotografia empirica del Paese, una fotografia che, proiettando l'andamento attuale e negativo degli indicatori economici anche nell'orizzonte del prossimo futuro, cristallizzano la situazione odierna non tenendo conto che, in qualsiasi momento, vi sono sempre delle variabili imprevedibili che potrebbero intervenire a modificare il corso degli eventi.
Se è vero che le previsioni della Banca d'Italia, dell'Ocse, del Fondo monetario, della Bce rappresentano stime ufficiali stilate da autorevoli organismi nazionali e sovranazionali del pianeta, è anche vero che, come riferito giustamente dal ministro dell'Economia Giulio Tremonti, questo è un momento nel quale «dati e previsioni sono solo un pezzo di conoscenza ma non sono la conoscenza assoluta». In sostanza lo scenario cupo che ora circonda l'economia, originato dal big bang scatenato dalla tecnofinanza, non può essere messo a fuoco unicamente attraverso la lente delle variabili matematiche che caratterizzano la scienza economica.
Se il processo di globalizzazione ha avuto, quale merito, quello di accelerare i processi di creazione della ricchezza grazie alla velocità delle transazioni incentivata dall'abbattimento delle barriere spazio temporali, ora, nell'ambito della prima vera crisi che si è originata proprio nel contesto della mondializzazione, la velocità potrebbe costituire una variabile che nelle crisi passate non era presente. La differenza, rispetto ai tradizionali cicli economici, potrebbe essere rappresentata proprio dal fatto che, come ha fatto notare anche Tremonti, «la realtà cambia in modo violento e intenso».

Insomma, se da una parte la crisi è palpabile, se i dossier pubblicati da diversi istituti dipingono una situazione emergenziale e realistica, dall'altra la fase che stiamo attraversando potrebbe contenere degli aspetti che la scienza economica non è in grado di leggere in profondità: l'economia, infatti, non è una scienza esatta, così come non lo è la medicina. Se così non fosse, infatti, esisterebbe un rimedio ottimale per ogni male: ciò significa che in medicina vi sarebbe un'unica ricetta per curare ciascun sintomo e, per quanto riguarda l'economia, se essa potesse definirsi davvero una scienza esatta non avrebbe bisogno della politica. In sostanza l'economia è una scienza in costante evoluzione dal momento che, sulla base dei dati, elabora teorie per spiegare e governare i fenomeni che si verificano in una società che, rispetto al passato, cambia e si evolve molto più velocemente.
Ecco perché Tremonti, di fronte alla roboante e incessante produzione di dati, ha voluto porre l'accento su un aspetto, l'imprevedibilità della realtà: «La crisi c'è ma è una terra incognita e ora fare previsioni sull'economia è esercizio congetturale»; attaccarsi alle previsioni in questo frangente, a detta del ministro dell'Economia, è «un mestiere da astrologi». Anche perché ci sono alcuni elementi che, nel contesto attuale, potrebbero costituire un valore aggiunto per il nostro Paese: se è vero che l'Italia ha un alto debito pubblico, rispetto ad altri Paesi, può vantare un debito privato molto più contenuto. Questa è una variante che, assieme al trend di riduzione dell'inflazione a al taglio del tasso di interesse della Bce, potrebbe rappresentare una leva in grado di mantenere, rispetto agli altri Paesi Ue, un buon livello della domanda interna.
In questo momento sostenere la domanda attraverso il ricorso al debito significherebbe ripercorrere l'esperienza fatta fuori dall'Italia (ad esempio negli Usa), dove una tale politica si è dimostrata inefficace. Ecco perché il nostro Paese, su indirizzo politico del Governo, ha scelto una strada che, se da una parte prevede misure a sostegno dei bisogni sociali impellenti, dall'altra è indirizzata a varare provvedimenti volti a tutelare la tenuta della produzione industriale. Non bisogna sottovalutare il fatto che l'Italia, nei prossimi anni, avrà a disposizione 110 miliardi di euro tra fondi strutturali europei e fondi per le aree sottoutilizzate. Questa cifra è già stata in parte riprogrammata sia a fini sociali sia a favore di opere infrastrutturali che, sia nel breve che nel lungo periodo, sono fondamentali per lo sviluppo del Paese e per tutelare l'occupazione.

Aurora Franceschelli

pubblicato su www.ragionpolitica.it

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