Il Governo considera la riforma della giustizia una priorità nazionale: tale rifoma, che avrà quale muro portante il principio della tutela dei cittadini, investirà sia l'ambito legislativo ordinario sia quello costituzionale. Mentre, dalle fila dell'opposizione, Di Pietro scaglia ingiurie contro il Capo dello Stato alla manifestazione di Piazza indetta a Roma per protestare contro la riforma della Giustizia, l'Esecutivo prosegue il cammino che lo vede impegnato a risolvere un problema, quello dell'inefficienza del nostro sistema giudiziario, che ha ricadute non solo sul vivere civile e sulla sicurezza dei cittadini, ma anche sulle possibilità di sviluppo del nostro Sistema Paese. In Italia, come evidenziato anche dal Rapporto stilato dal Consiglio d'Europa (CEPEJ 2006), si spendono ben 4 miliardi di euro per l'amministrazione della giustizia, una cifra che supera quella di paesi come la Russia (3 miliardi e mezzo) e la Francia (3 miliardi e 350 milioni); questi dati, relativi all'importo della spesa in un settore così delicato di un'amministrazione dello Stato, confliggono con la qualità e l'efficienza del servizio reso ai cittadini (ad oggi vi sono oltre 5 milioni di cause pendenti nel settore civile e oltre 3 milioni nel penale): sempre secondo il rapporto CEPEJ, infatti, in Italia il numero di controversie arenate davanti ai tribunali di primo grado era di 3.687.965, mentre in Germania era di 544.751, in Spagna di 781.754, in Russia di 480.000.
Son questi dati, allarmanti, che hanno fatto emergere la necessità, da parte del nostro Governo, di imboccare un cammino di riforme non più rimandabili, un percorso che, come ha riferito il ministro Alfano nella sua relazione al Parlamento sullo Stato della Giustizia, prevede una serie di tappe: dall'emergenza carceri, sulla quale il Governo si è già mosso nella direzione che ha come obiettivo quello di costruirne di nuove, alle riforme ordinamentali e processuali che sono necessarie per restituire efficienza e velocità al sistema; dall'effettiva parità tra accusa e difesa nel processo penale alla concreta effettività dei principi del giusto processo che, statuiti dalla nostra Carta costituzionale, non si realizzano nel quotidiano esercizio della giurisdizione. E, ancora, dalla necessità di una riforma della Magistratura onoraria, alla riforma delle professioni del comparto giuridico-economico.
Uno degli scogli maggiori sulla strada di una riforma che restituisca dignità alla giustizia italiana, come sappiamo, è senza ombra di dubbio la lentezza. Ecco perché il disegno strategico del Governo prevede alcuni fondamentali interventi per l'accelerazione dei tempi di definizione dei processi, sia civili che penali. Inoltre, per far fronte al problema degli sprechi, il Governo intende avviare un percorso virtuoso, che riguarda la Pubblica amministrazione in generale, e che si fonda sulla necessità di realizzare programmi di innovazione digitale volti a ridurre i costi per il funzionamento degli uffici e a garantire servizi più semplici per gli utenti e reti di trasmissione di informazione più efficienti, attraverso l'uso di Internet.
Combattere gli sprechi e controllare le spese, dunque, sarà un imperativo anche per quanto riguarda il comparto Giustizia. In questo senso è importante la battaglia che ha condotto il Governo sul delicato tema delle intercettazioni, il cui costo, ogni anno, ammonterebbe a centinaia di milioni di euro. Ed è proprio su questo tema delicato che il Governo, martedì, ha raggiunto un'intesa di massima: secondo quanto stabilito a Palazzo Grazioli le intercettazioni, che saranno consentite per i reati per i quali sono previste oggi, ossia quelli puniti con una pena superiore ai 5 anni, non potranno prolungarsi, esclusi i reati di mafia e terrorismo, per più di 60 giorni (45 prorogabili di altri 15). A costituire una svolta in materia è l'introduzione del principio secondo il quale i magistrati, per ottenere il permesso alle registrazioni telefoniche, dovranno dimostare la sussistenza di «gravi indizi di colpevolezza» (esclusi i reati più gravi di mafia e terrorismo); non saranno più sufficienti, come accadeva sino ad ora, «gravi indizi di reato». Altri punti importanti dell'intesa sono quelli che prevedono il divieto di pubblicare il nome del magistrato titolare di un'indagine, la fissazione di un tetto al budget di spesa per le intercettazioni e l'eliminazione della sanzione del carcere a carico dei giornalisti: ad essere colpiti potranno essere solo gli editori.
Uno degli scogli maggiori sulla strada di una riforma che restituisca dignità alla giustizia italiana, come sappiamo, è senza ombra di dubbio la lentezza. Ecco perché il disegno strategico del Governo prevede alcuni fondamentali interventi per l'accelerazione dei tempi di definizione dei processi, sia civili che penali. Inoltre, per far fronte al problema degli sprechi, il Governo intende avviare un percorso virtuoso, che riguarda la Pubblica amministrazione in generale, e che si fonda sulla necessità di realizzare programmi di innovazione digitale volti a ridurre i costi per il funzionamento degli uffici e a garantire servizi più semplici per gli utenti e reti di trasmissione di informazione più efficienti, attraverso l'uso di Internet.
Combattere gli sprechi e controllare le spese, dunque, sarà un imperativo anche per quanto riguarda il comparto Giustizia. In questo senso è importante la battaglia che ha condotto il Governo sul delicato tema delle intercettazioni, il cui costo, ogni anno, ammonterebbe a centinaia di milioni di euro. Ed è proprio su questo tema delicato che il Governo, martedì, ha raggiunto un'intesa di massima: secondo quanto stabilito a Palazzo Grazioli le intercettazioni, che saranno consentite per i reati per i quali sono previste oggi, ossia quelli puniti con una pena superiore ai 5 anni, non potranno prolungarsi, esclusi i reati di mafia e terrorismo, per più di 60 giorni (45 prorogabili di altri 15). A costituire una svolta in materia è l'introduzione del principio secondo il quale i magistrati, per ottenere il permesso alle registrazioni telefoniche, dovranno dimostare la sussistenza di «gravi indizi di colpevolezza» (esclusi i reati più gravi di mafia e terrorismo); non saranno più sufficienti, come accadeva sino ad ora, «gravi indizi di reato». Altri punti importanti dell'intesa sono quelli che prevedono il divieto di pubblicare il nome del magistrato titolare di un'indagine, la fissazione di un tetto al budget di spesa per le intercettazioni e l'eliminazione della sanzione del carcere a carico dei giornalisti: ad essere colpiti potranno essere solo gli editori.
Le misure stabilite dall'Esecutivo, oltre a costituire una risposta concreta nella lotta agli sprechi, rappresentano un segnale importante sulla strada della tutela dei cittadini dalle eccessive ingerenze dello stato nella loro vita privata. Il provvedimento in questione, infatti, ha come finalità quella di creare un giusto equilibrio tra il ricorso allo strumento intercettativo per le indagini e la necessità di tutelare la privacy dei privati cittadini, in particolar modo di quelli che si vedono coinvolti dalle intercettazioni pur essendo estranei ai procedimenti penali. Le misure sulle intercettazioni, dunque, rappresentano anche una risposta politica all'eccessivo protagonismo di alcune Toghe, la cui iperattività, spesso ingiustificata, rischia di destabilizzare il nostro tessuto istituzionale e l'equilibrio dei poteri dello Stato.
Aurora Franceschelli
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