venerdì 30 gennaio 2009

L'Italia al giro di boa?


di Aurora Franceschelli pubblicato su www.ragionpolitica.it il 20 gennaio 2009

Mentre buona parte del Mondo assiste all'insediamento di Barak Obama alla Casa Bianca come ad un evento epocale, capace di alimentare, a livello internazionale, la speranza di un desiderio di cambiamento che andrebbe corredato dalla sostanza, la realtà economica mondiale è in profonda sofferenza, quasi fosse venuto meno l'ossigeno che la dovrebbe alimentare. Se diamo uno sguardo allo scacchiere globale non possiamo non essere colpiti dalla debacle di quelle che sino a poco tempo fa sembravano essere le economie più vitali: sia Stati Uniti che Gran Bretagna hanno potuto vantare, per lunghi anni, un «vantaggio competitivo» che si sostanziava in una crescita del prodotto interno lordo nettamente superiore a Paesi come la Germania o l'Italia; la stessa scia di crescita ha coinvolto la Spagna e l'Irlanda: tutti Paesi che, da molti studiosi di economia, venivano indicati come modelli di riferimento a cui ispirarsi per dar vita ad un vero processo di sviluppo.

Ebbene, questi modelli, ora, si sono sgonfiati, si sono rivelati delle vere e proprie bolle di sapone: la crescita spropositata delle economie di questi paesi, infatti, si è fondata su presupposti evanescenti. La leva del loro sviluppo, la forte domanda interna, ha visto i consumi privati alimentarsi grazie all'esplosione dell'indebitamento delle famiglie, che a sua volta ha generato, negli anni che vanno dal 2001 ad oggi, una forte crescita del debito consolidato (che comprende la somma del debito pubblico e del debito delle famiglie). La Gran Bretagna, ad esempio, ha visto crescere il suo debito consolidato, in base ai dati del 2007, al 144%; gli Stati Uniti, da parte loro, hanno fatto registrare un preoccupante 165%. E cosa si può dire della tanto declassata Italia? Ebbene, il nostro Paese, per lunghi anni cenerentola d'Europa, vanta senza ombra di dubbio un dato migliore, ossia un indebitamento aggregato che varia tra un 125 e un 135% (e questo grazie alla maggiore capacità di risparmio delle famiglie). I piani di salvataggio che Stati Uniti, Irlanda, Gran Bretagna, Olanda, ecc. stanno mettendo e metteranno a punto nel prossimo futuro non faranno altro che accrescere il fardello del debito pubblico.


La Gran Bretagna, ad esempio, non naviga certo in buone acque: non solo è crollata la Bank of Scotland, che Gordon Brown ha provveduto a nazionalizzare in toto, ma si teme anche per un altro colosso come Lloyd Banking (senza contare le difficoltà in cui si trovano anche Hsbc e Barclays). Addirittura il Financial Times, in riferimento all'ingente intervento dello Stato nel capitale della banche, ha agitato lo spettro del rischio dell'insolvenza statale. In ogni caso, se guardiamo all'esempio inglese o americano, non si può non sottolineare il fatto che, una volta stanziate cospicue somme di capitale da parte degli Stati, questi ultimi non sono stati in grado di vincolare questa stessa loro azione di supporto ad una corrispettivo impegno, da parte degli istituti bancari, a garantire un'adeguata erogazione del credito all'economia reale.

L'Italia, dal canto suo, vive una situazione differente: se da una parte, per anni, è cresciuta meno di altri, dall'altra la sua crescita, seppur contenuta, è stata reale. Inoltre il nostro Governo, pur potendo contare su un sistema bancario solido, ha provveduto a garantire continuità di accesso al credito da parte delle piccole e medie imprese. Sono queste ultime che, in giro per il mondo, hanno mantenuto alto il prestigio del nostro Made in Italy e hanno provveduto a far crescere il nostro export.
A confermare come lo stato della nostra economia, pur in difficoltà, non stia involvendosi come altri paesi sono anche agenzie internazionali come Standard&Poors e Moody's, che hanno confermato la stabilità del nostro rating sul debito, contrariamente a quanto invece le due agenzie hanno previsto, ad esempio, per la Spagna, che ha visto declassato il suo rating e che sta assistendo ad un preoccupante deterioramento dei suoi conti pubblici.

Che il cammino intrapreso dal Governo per ridare fiato e rilanciare il nostro Paese sia quello giusto lo ha confermato, inoltre il commissario Ue agli Affari economici e monetari Almunia, che ha precisato come « sul fronte dei conti pubblici c'è la giusta combinazione fra gli stimoli fiscali necessari e la dovuta prudenza». La prudenza, dunque, rappresenta un ingrediente fondamentale nella politica del nostro Esecutivo: da una parte bisogna salvaguardare la situazione dei conti pubblici, dall'altra stimolare l'economia e tutelare i bisogni sociali. Su quest'ultimo fronte il Governo sta studiando la possibilità di accrescere di ben 8 miliardi di euro gli ammortizzatori sociali, senza tuttavia incidere sul bilancio: l'idea è quella di attingere ai fondi strutturali e ai Fas (il Fondo per le aree sottoutilizzate).
Come dice Tremonti, ci sono ottime possibilità che il nostro Paese esca dalla crisi meglio di altri: la sfida, dunque, considerando i maggiori margini di sviluppo del nostro Paese ora che il livello di competitività di altri Paesi (drogato in passato) si è notevolmente ridotto, è quella di cogliere le opportunità che si potrebbero aprire. La notizia dell'accordo tra Fiat e Chrysler, ad esempio, rappresenta un segnale forte in questo senso, perché testimonia la vitalità dell'industria italiana di fronte alle sfide congiunturali e la sua capacità di accrescere il proprio business nel Mondo. E' significativo il fatto che un'azienda automobilistica italiana, cogliendo l'opportunità data dal contesto della svalutazione di alcune aziende straniere, ne acquisisca una americana. In passato, infatti, accadeva il contrario: erano gli americani ad inglobare aziende nostrane.
Questo periodo, in sostanza, potrebbe rappresentare un giro di boa, una fase durante la quale l'Italia ha tutte le carte per raccogliere le forze e per affrontare alcuni squilibri strutturali quali, ad esempio, la diversificazione energetica, il divario Nord -Sud e il debito pubblico.

Aurora Franceschelli

pubblicato su www.ragionpolitica.it il 20 gennaio 2009

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