giovedì 8 gennaio 2009

Il prezzo del petrolio destinato a stabilizzarsi su valori di lungo periodo

Il crollo della speculazione finanziaria e la crisi dell’economia reale hanno già sgonfiato la bolla dei prezzi petroliferi, ma quale sarà il futuro delle quotazioni del greggio?
di Emanuela Melchiorre
pubblicato su www.finanzaitaliana.net dicembre 2008
Il piano dell’Amministrazione statunitense per salvare banche e imprese finanziarie dal tracollo dopo la nazionalizzazione di F&F, ossia le due gigantesche finanziarie, esposte per 5.200 miliardi di dollari, e del gigante dell’assicurazione Aig, giunto sull’orlo del “default”, ha aperto una nuova fase nel mondo della finanza e della banca, investito anche dal fallimento del colosso bancario-finanziario Lehman Brothers. Il piano di salvataggio imposto da altri potenti gruppi degli Stati Uniti, ma operanti in tutto il mondo, e anch’essi giunti in prossimità dello stadio finale dell’insolvenza, pare in prima analisi che miri a salvare spregiudicatamente la finanza speculativa.

In realtà, l’intervento governativo statunitense dovrà essere seguito da misure tendenti a disciplinare la Borsa valori e la Borsa merci, onde la speculazione selvaggia non abbia più lo spazio per le sue scorrerie. Sono state sospese per ora le vendite allo scoperto, fonte di speculazione sfrenata. S’impone però l’esigenza di una nuova disciplina che dovrà essere applicata anche per le contrattazioni tramite i futures, che sono operazioni di mero rischio per cifre gigantesche e che in generale riguardano le materie prime, petrolio “in primis”, nonché i principali generi alimentari, tra cui, in particolare, frumento, mais e soia.

Il nodo dei futures. Come è noto, i futures sono strumenti essenzialmente speculativi, che date le cifre in gioco influenzano e in molti casi determinano l’andamento dei prezzi. Emerge ora l’esigenza di regolamentare i futures, imponendo, ad esempio, un deposito previo nelle contrattazioni. In tal caso, le contrattazioni speculative sarebbero fortemente frenate e il petrolio cosiddetto "finanziario" non potrebbe trascinare e alla fine anche determinare il prezzo del greggio, che dovrebbe risentire soltanto del gioco della domanda e dell’offerta fisica. Dopo lo scoppio della bolla di Borsa, gonfiata a dismisura dai guru della new economy, durante il mandato Clinton, la speculazione ha attaccato il settore immobiliare, facendo crescere ogni anno i prezzi delle abitazioni vecchie e nuove. Tramite la cartolarizzazione dei titoli legati ai mutui concessi dalle banche e trasferiti ad apposite società, la bolla speculativa si è ulteriormente gonfiata in tutti i paesi e in particolare negli Usa con gli ormai tristemente famosi mutui subprime. Alla fine è stato sufficiente il pericolo incombente di un rallentamento della crescita economica dei principali paesi per far scoppiare la bolla e, come sempre accade, seminare rovine, mentre cresceva la bolla artificiosamente creata sulle materie prime, e in particolare sul petrolio ed i suoi derivati e sui prodotti alimentari di base.

Dopo lo scoppio della bolla petrolifera. Anche questa ennesima bolla non poteva non scoppiare, con la conseguenza di un vistoso calo del prezzo del petrolio, che astraendo dalle oscillazioni giornaliere è crollato dai 147 dollari dell’11 luglio scorso a circa 50 dollari in questi ultimi giorni di novembre. Il prezzo dovrà ulteriormente calare, perché la crisi finanziaria è talmente profonda da dover temere non soltanto la recessione, che è già in atto, quanto la depressione che si teme possa durare anche due anni, se si dovesse accompagnare con la deflazione, ossia con la diminuzione dei prezzi praticati dalle imprese per allocare l’invenduto. Il pericolo non è ipotetico, giacché è in atto una crisi profonda dell’industria dell’automobile e del suo indotto a livello planetario. D’altra parte, il prezzo del petrolio grezzo dovrebbe assestarsi sotto i 50 dollari al barile anche se si dovesse tenere conto della perdita di potere di acquisto del dollaro. È anche probabile che il prezzo del greggio risenta fortemente della flessione della domanda in relazione agli effetti della crisi, perché ormai è recessione ovunque e gli effetti dei provvedimenti dei vari governi, del G8, del G20 e tutti gli altri incontri annunciati non possono che mirare a impedire la depressione, accorciando i tempi della recessione.

Le reazioni della domanda. Altra considerazione da fare riguarda le reazioni in atto da parte della domanda, con la ricerca di nuove fonti energetiche, tra cui il nucleare, mentre a breve termine dovrebbe giocare un ruolo non marginale il risparmio energetico e lo sfruttamento di nuovi giacimenti già individuati e che, salvo imprevisti, dovrebbero entrare in produzione nel corso del prossimo anno. In particolare, oltre alle autorizzazioni a perforare le coste statunitensi, dovrebbe entrare in produzione fin dal marzo 2009 l’area brasiliana della Baia di Santos, con centomila barili al giorno e con 3,5 milioni di metri cubi di gas, in seguito allo sfruttamento di un enorme giacimento di idrocarburi di circa 8 miliardi di barili. Al largo della costa brasiliana, inoltre, sarebbero state individuate riserve di petrolio pari a oltre 24 miliardi di barili, mentre le riserve stimate ammonterebbero ad oltre 60 miliardi di barili equivalenti di petrolio. A dispetto della speculazione, il petrolio è lungi dall’essere esaurito e il prezzo del barile è destinato a riportarsi al livello di lungo periodo, una volta che gli artigli della speculazione saranno tagliati.

I tagli alla produzione:un boomerang per l’Opec. La crisi odierna è un momento importante anche per l’Opec, che dovrebbe comprendere che la politica fino ad ora condotta, che ha fatto largo ricorso ai tagli della produzione, ai quali abbiamo assistito come estremo tentativo, è una specie di suicidio annunciato, perché il petrolio caro non può non portare al potenziamento del nucleare, al ricorso, pur marginale, alle fonti alternative, allo sfruttamento dell’energia geotermica ed a politiche di risparmio energetico. Sembra che il nuovo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, si sia già esposto a favore delle energie alternative e abbia manifestato l’intenzione, che sicuramente troverà una forte opposizione, di rinunciare alla costruzione di nuove centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, dando enfasi alle questioni relative alla sicurezza degli impianti e al problema dello stoccaggio delle scorie. Obama infatti, pare voglia destinare 150 miliardi di dollari in dieci anni per investimenti definiti “strategici”, per catalizzare gli interessi degli investitori privati in progetti relativi alle fonti alternative. Questa scelta, se effettivamente avrà un seguito, rappresenterebbe un passo indietro rispetto alla precedente amministrazione Bush, e rischia di perpetuare per gli Stati Uniti la situazione di pesante dipendenza energetica dai tradizionali fornitori (paesi del Medio Oriente, Messico e Venezuela). Interessanti sono, peraltro, le campagne di sensibilizzazione che la futura amministrazione Obama vuole porre in essere nei confronti delle compagnie petrolifere statunitensi che potranno fare prospezioni in cerca di petrolio e gas, in base alle licenze esistenti che, se non utilizzate, andranno perdute.

Emanuela Melchiorre

pubblicato su www.finanzaitaliana.net dicembre 2008

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