giovedì 1 gennaio 2009

Le insidie delle trattative diplomatiche tra Paesi liberi e Dittature





Dalla Storia, guardando all'Iran

di Django http://icarodelleidee.blogspot.com

Il XX secolo ha dimostrato che l'essenza della diplomazia (nel caso di nazioni nemiche) è la trattativa fra nazioni, che almeno per un momento fanno finta di essere eguali. Chiaramente non è così. Può essere per ragioni morali, economiche e politiche, gli attori in gioco pensano di essere “migliori” dell'altro e per questo ricercano il massimo interesse. Questa è la realtà, il resto sono solo fumose chiacchiere che si raccontano i diplomatici, illudendosi con le loro stesse convinzioni. Ben pochi sono i casi in cui la trattativa ha portato a risultati soddisfacenti per entrambi; cioè, nel caso che entrambi i contendenti siano ragionevoli, questo si ha solo con democrazie liberali, forse con un’unica eccezione: la condivisione degli stessi interessi per far fronte ad un comune nemico.Quando un regime non democratico cerca la pace, succede non solo che sappia di essere in uno stato di inferiorità, ma che espliciti questo suo stato. Per la soddisfazione reciproca le due parti devono essere equilibrate, altrimenti la trattativa si trasforma in imposizione. Non ci sono molti casi in cui un nemico, grazie alla trattativa si trasforma in un soggetto non ostile, anzi non ce ne sono proprio. Sempre la trattativa, i colloqui ufficiali, sono venuti dopo un processo, per ufficializzare la pace. E' questo il caso di Sadat che parlò alla Knesset nel 1977. Ma già prima non era più un “nemico”. Mai, altrimenti, sarebbe andato a visitare il parlamento dell' “entità sionista”. Come sarebbe stato possibile per un Capo di governo parlare ad un parlamento di uno Stato del quale non riconosceva l'esistenza? Sono molti i casi nei quali con la trattativa si cerca di imbonire il nemico o addirittura renderlo amico, finiti nel disastro più totale. Fondamentale è capire “Come mi vede l'altro?” Se nei confronti di una nazione non democratica si cerca con perseveranza la trattativa, quindi il compromesso, l'altro, in questo, non potrà che vedere un segno di debolezza, crederà di essere in una posizione di superiorità e vantaggio. Perché scoprire il fianco, altrimenti? E se il nemico si mostra debole, approfittarne è d'obbligo. Qualche esempio?Cominciamo dagli anni '30, dall'appeasement nei confronti dell'aggressività nazi-fascista. Ovvero come le democrazie europee permisero ad Hitler di iniziare la guerra nel momento e nella posizione più favorevole possibile. Nel 1935, Hitler violò gli obblighi del trattato di Versailles sul disarmo, l'ambasciatore britannico volò a Berlino, ignorando la violazione e stipulando un nuovo trattato per limitarne le forze navali. Si mise in una posizione di inferiorità ed ovviamente Hitler ne approfittò. Di lì a poco iniziò la costruzione della più grande e potente nave da battaglia che il mondo avesse mai visto: la Bismarck. Quando Mussolini rese nota l'intenzione di conquistare l'Etiopia, il ministro degli esteri francese diede l'assenso, sperando di ottenere l'appoggio italiano contro la Germania; l'ambasciatore britannico fu così solerte e servile, nell'offrire una parte del Somaliland inglese, che convinse il Duce dell'irrimediabile decadenza politico-militare delle democrazie. L'anno successivo all'invasione dell'Etiopia si ebbe l'asse Roma-Berlino. I famosi accordi di Monaco del 1938 non furono un incontro, ma tre; ciascuno dei quali convinse maggiormente Hitler che le democrazie occidentali erano disposte a qualsiasi concessione pur di evitare la guerra. E fu così che prese la Cecoslovacchia e successivamente la Polonia. Che motivo aveva di ritenere che Gran Bretagna e Francia fossero disposte a “morire per Danzica”? La debolezza occidentale convinse poi Stalin a stipulare un patto con la Germania. Come disse saggiamente Churchill: “Gran Bretagna e Francia potevano scegliere fra il disonore e la guerra. Hanno scelto il disonore. Avranno la guerra”.
Dopo la guerra, nonostante avesse una nazione ed un esercito completamente stremati, Stalin fece credere il contrario e poté facilmente instaurare in Europa orientale una pletora di regimi fantoccio. Il conflitto con l'URSS si delineò naturalmente. La non chiarezza statunitense riguardo ai suoi interessi fece pensare che la Corea del Sud potesse essere invasa senza temere reazioni. La stessa cosa si ebbe con il blocco di Berlino. Pensavano che l'Occidente avrebbe facilmente gettato la spugna. Chissà dove avevano preso questa idea. Il primo incontro fra i capi di Stato USA-URSS dopo la guerra, nel '55, fece illudere di aver fatto il primo passo verso la pace. L'anno dopo, Kruscev con i carrarmati schiacciò nel sangue la rivoluzione ungherese. Lo stesso anno con la crisi di Suez, l'URSS minacciò di usare armi atomiche contro Londra e Parigi. Nel 1959 Kruscev fece visita in America, un altro “primo passo per la pace”, tanta cordialità, ma i colloqui non portarono a nulla, se non alla decisione di indire un altro summit, che si aprì nel maggio del 1960 e non ebbe alcun effetto. Un altro incontro si tenne a Vienna l'anno successivo fra il neoeletto Kennedy e Kruscev, che promise che l'Unione sovietica non avrebbe effettuato test nucleari, se altri paesi non l'avessero fatto a loro volta. Gli altri paesi non effettuarono alcun test. In ottobre i sovietici fecero esplodere una bomba da 58 megatoni, la più potente di tutti i tempi. Nel '62 ci fu la crisi dei Missili di Cuba. E' interessante notare come nelle sue memorie Kruscev si definì compiaciuto nel constatare che Kennedy cercasse ogni modo per appianare i conflitti fra le due potenze. Si sentiva forte il leader sovietico, tanto che due anni dopo fece erigere il muro di Berlino. Un modo esemplare per appianare i conflitti e spianare la strada per la pace. I colloqui fra Johnson e Kosygin nel 1967, anch'essi salutati con radiose speranze di pace, furono il preludio alla repressione della primavera di Praga e all'offensiva comunista del Tet. Con Nixon e Breznev nel '72 si ebbero gli accordi di limitazione dei missili, a vantaggio sovietico. Si disse che era stata posta un’altra “pietra miliare nel processo di pace”. L'anno dopo l'URSS armò Siria ed Egitto per l'attacco ad Israele e minacciò di intervenire nel conflitto. Nel 1973 Kissinger e Le Duc Tho stabilirono il ritiro congiunto dal Vietnam del Sud. Gli Americani si ritirarono, i nord-vietnamiti completarono la conquista del Sud. Creando la tragedia dei boat people, l'occupazione del Vietnam del sud e le successive repressioni, portarono ad un numero di vittime stimate intorno al milione. Entrambi vinsero il Nobel per la pace. Mai premio per la pace fu tanto sudicio di sangue. Questi furono i grandiosi risultati della distensione. Jimmy Carter nel '79, dopo aver assistito alla caduta di alcuni paesi sotto l'influenza sovietica, convinto che in fondo l'Unione Sovietica (in posizione più favorevole che mai), volesse la pace, firmò un nuovo trattato di limitazione dei missili al termine del quale baciò e abbracciò appassionatamente uno stupito Breznev. Pochi mesi dopo l'URSS invase l'Afghanistan. Il conciliante Clinton nel '94 stipulò un accordo con la Corea del Nord per evitarne la corsa all'atomica. Cosa che ovviamente non la fermò.


Venendo ai giorni nostri, è importante riflettere su un disastro mancato; nel 2006 l'IRAQ STUDY GROUP consigliò un ritiro dall'Iraq contestualmente alla trattativa con Iran e Siria (che sostengono guerriglia e terrorismo nel paese), argomentando che a loro non sarebbe convenuta l'instabilità e la catastrofe umanitaria in Iraq. Considerando che loro ne sono i primi artefici. Proprio l'Iran non esitò, durante la guerra con l'Iraq (1980), ad utilizzare migliaia di ragazzini martiri, come carne da macello per bonificare i campi minati, dietro la promessa del paradiso. E la Siria, per sedare una rivolta di Hamas, trucidò 36.000 suoi cittadini, stando alle dichiarazioni di uno dei suoi mandanti. Chissà quanto glie ne importa dei cittadini iracheni. Ma Bush ha giocato la sua ultima risorsa politica nel “Surge” di Petreaus, sostenuto solo da McCain, che da tempo proponeva un’intervento simile. Se adesso la vittoria sembra a portata di mano, non è certo per la magnanimità di Iran e Siria, né grazie ad Obama che al “surge” si è sempre opposto e ne ha denigrato e minimizzato i primi effetti, fino a che non ha potuto che riconoscere il suo funzionamento. In definitiva, bisogna parlare con i propri nemici, ma quando già essi non sono più propensi ad esserlo, come già Sadat con Israele. “Non è parlando che si può convincere dei lupi a convivere con degli agnelli o a trasformarsi essi stessi in agnelli”. Bisogna considerare che i regimi messianici apocalittici, come quello iraniano, ragionano con categorie molto differenti da quelle laiche occidentali. In genere i regimi dittatoriali sono in guerra con i loro stessi cittadini ed è illusorio credere alla pacificazione con uno straniero; legittimandoli non si fa altro che prolungarne la vita, a danno e umiliazione dell'opposizione interna. Tutti i colloqui condotti con l'Iran non lo hanno spostato di un millimetro dalle sue ambizioni nucleari. Anzi lo hanno incoraggiato, convincendolo della debolezza dell'Occidente. Come diceva Teddy Roosvelt, “parla a bassa voce, ma porta con te un grosso randello: andrai lontano”. Bisogna guardare la ruvida realtà e non i sogni; il linguaggio della forza è, purtroppo, il solo che taluni sanno intendere. Bombardare le installazioni nucleari iraniane potrebbe essere necessario, come ultima risorsa. L'unica soluzione per evitarlo non è inviare un altra volta Solana o la trattativa di Obama, che porterebbe solo ad un'ulteriore, inutile umiliazione occidentale, ma tentare di portare al massimo livello l'isolamento e l'embargo e sperare in una rivoluzione del popolo iraniano che l'Occidente dovrà con vigore sostenere, come nel piano che era di Mc Cain.

Django

Nessun commento:

Posta un commento

Ricerca personalizzata