mercoledì 31 dicembre 2008

Stati Uniti, con Obama ha vinto la speranza


di Orlando Sacchelli

Il giorno più lungo degli Stati Uniti si è aperto con lunghe file per andare a votare. La campagna elettorale più lunga del mondo – da alcuni criticata perché troppo dispendiosa (ma la trasparenza è massima) – è iniziata più di un anno fa con le primarie. Si dovevano scegliere i candidati, coloro che avrebbero gareggiato per la "conquista" della Casa Bianca. E' stato uno scontro vero, durissimo, senza esclusione di colpi. Poi, con l’individuazione – con metodo democratico, è bene sottolinearlo – dei due sfidanti, è partita la corsa. Quattro novembre 2008, una data da ricordare: a vincere è la democrazia, a vincere sono i cittadini americani.
Negli Stati Uniti ha vinto la speranza, quella speranza di cambiamento che Barack Obama ha saputo accendere nell'animo dei cittadini. Sin dall'inizio, con le primarie, è stato il suo slogan-tormentone: "Yes we can" ("Sì possiamo farcela"). Gli americani gli hanno creduto e, a dire il vero, Obama ha conquistato la fiducia di moltissime persone anche al di fuori degli Usa. Sembrerà retorico ma con Obama ha davvero vinto il "sogno americano". Basta leggersi la biografia del neoeletto presidente per capire quanti passi in avanti abbia saputo fare la democrazia americana dal punto di vista della società multirazziale e multiculturale. Per questo l'ingresso del primo afroamericano alla Casa Bianca rappresenta la speranza che si fa realtà, il sogno che si avvera come nei film, quelli che noi europei chiameremmo - un po' da snob - americanate. Invece è tutto vero. Si è detto e si è scritto molto di queste elezioni: le più costose della storia, le più tecnologiche, le più partecipate. Di promesse, in campagna elettorale, ne sono state fatte tante, forse troppe. Ma questo fa parte della politica in ogni angolo del mondo. Ora, per Obama, verrà la fase più dura ma forse anche più avvincente: cercare di tramutare in realtà il "sogno del cambiamento". Per alcuni si è trattato - e si tratta - di un sogno vuoto, pieno di retorica ma privo di reali contenuti. Credo sia un giudizio troppo ingeneroso e ancor più irrispettoso verso tutti quei cittadini che hanno dato corpo al loro desiderio di cambiare aria a Washington. Si tratterà di aspettare e vedere cosa Obama sarà in grado di fare in concreto. La sua agenda politica è ricca: dal ritorno al multilateralismo in politica estera (senza rinnegare il ruolo di leadership degli Usa), alla riduzione delle tasse per chi guadagna meno di 250mila dollari con conseguente aumento per chi è più benestante, dalla riforma della sanità (il grande sogno democratico di garantire a tutti l'assistenza di base) fino al rilancio di un'economia sempre più in crisi. Sin dall'inizio Obama ha parlato della necessità di redistribuire la ricchezza. Un intento che i repubblicani hanno bollato come "socialista". Ma si tratta solo di una diversa visione dei compiti dello Stato: con Obama, così come prima di lui è avvenuto con Clinton - per citare l'ultimo dei presidenti democratici - non si metterà mai in discussione l'importanza del libero mercato e dell'iniziativa privata. Tra l'altro l'ortodossia non interventista repubblicana è stata ampiamente rinnegata da George W. Bush, coi salvataggi di Stato per fronteggiare l'ultima gravissima crisi finanziaria. Il programma politico di Obama è molto vasto e articolato. La sua realizzazione dipenderà anche da cosa accadrà nel mondo, con le crisi internazionali e gli equilibri geopolitici delle aree calde mediorientali. Forse per fare qualcosa di veramente significativo, in grado di lasciare il segno, occorrerà lavorare per otto anni, due mandati. Obama se ne rende conto e ha già messo le mani avanti nel suo primo discorso da presidente a Chicago. L'America cambia, l'America volta pagina. Non si tratta solo del sogno che diventà realtà. Non si tratta solo del riscatto epocale di una minoranza. Obama ha portato a votare moltissimi giovani - bianchi e neri - avvicinando una generazione che si sentiva distante, sfiduciata, tenuta in disparte. Questo forse sarà il compito più difficile per Obama: non fare affievolire, com'è nella natura delle cose, la vigorosa speranza che moltissimi giovani hanno riposto in lui.

Piovono, intanto, critiche sulle scelte di Barack Obama per lo "staff economico". Massimo Gaggi, in un editoriale sul Corriere della sera, ha parlato di "delusione", mettendo una accanto all'altra due campane diverse: da un lato la stampa ultra liberal americana, molto critica, dall'altro gli apprezzamenti di alcuni commentatori repubblicani. Un Presidente di sinistra che, per le sue prime decisive mosse in campo economico finisce con l'essere apprezzato dalla destra, parte male? La questione, secondo me, è mal posta: dai programmi ambiziosi e gli slogan della campagna elettorale si deve passare alla concretezza, necessaria per governare un Paese. Sarebbe stato lo stesso se avesse vinto McCain. Piazzando nei posti chiave alcuni "guru" dell'era Clinton (che tra l'altro avevano operato bene), Obama dimostra di essere un pragmatico. Tecnici a parte conterà la "visione d'insieme"; la cabina di regia, la scelta della rotta da seguire resta, com'è doveroso, al presidente, che potrà (e dovrà) imprimere una svolta rispetto agli ultimi otto anni. Altra questione è la Difesa. Qui Obama ha deciso di confermare Robert Gates, l'uomo che un paio di anni fa ha sostituito il contestato Rumsfeld al Pentagono. E' un segnale di continuità quello che il neo presidente eletto vuole dare. Un segnale a uso interno (per rassicurare i militari) ma soprattutto esterno: Washington vuol far capire che, anche se i piani di Obama non coincidono con quelli di Bush, gli Stati Uniti non intendono lasciare questioni aperte in giro per il mondo. Si parla di Afghanistan ma, soprattutto, di Iraq. Obama vorrebbe concentrare tutti gli sforzi su Kabul, lasciando, piano piano, Baghdad. Ma la cosa non si può fare dall'oggi al domani. Occorre una strategia accurata e serve un minimo di stabilità. Non si può dare un segnale di debolezza ai terroristi, soprattutto ora, dopo i terribili attentati di Mumbai e i recenti farneticanti proclami del numero due di al Qaeda al Zawahiri.

Orlando Sacchelli

www.ideelibere.it

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