mercoledì 31 dicembre 2008

Il lato chiaro e quello oscuro di Obama

di Gabriele Cazzulini
pubblicato su www.ragionpolitica.it il 07 novembre 2008
C'è un aspetto in cui Obama è come Bush: essere un leader, anche se in fasi temporali diverse. Bush è stato un leader; Obama deve dimostrare di esserlo veramente. Quando nel 2004 Bush conquistò il secondo mandato e un posto nella storia, vinse rinvigorendo il legame diretto con gli americani. Tanta radio e tantissime strette di mano del presidente segnarono la sconfitta dello sfidante democratico John Kerry. Quattro anni dopo Obama è un idolo mediatico che spopola sul web. Piace a prescindere dalle vaghissime promesse che è abituato a staccare come fossero assegni in bianco.
Ora bisogna controllare se Obama dispone di un reale capitale politico per mantenere le sue promesse e ripagare gli elettori della fiducia concessa in tempi in cui il credito è diventato una risorsa rara. Obama stravince confermando la regola aurea della democrazia americana: il presidente dev'essere un leader, un capo che oltre a governare usando la prima persona singolare sia anche l'anello di congiunzione tra stato e popolo. Che piaccia o meno, la lezione americana non spiega solo che gli Usa sono la terra dove la possibilità diventa una realtà. Il primo afro-americano che diventa presidente senza neppure aver compiuto cinquant'anni.
La Casa Bianca ha le porte aperte. Questo è l'aspetto sociale della democrazia. Ma c'è anche un aspetto politico molto più importante. Afro-americano o wasp, alto o basso, giovane o vecchio, ricco o povero, il presidente dev'essere un leader. Non c'è spazio per equilibrismi politici, compromessi, tregue. Sono parole espunte dal gergo delle campagne elettorali americane. Non si parla mai di grande coalizione o di governo di unità nazionale. Neppure in tempi così neri. Chi vince, governa. Da solo. E' una fortissima semplificazione che deriva proprio dalla natura carismatica del presidente. Ma questo espone Obama, come chiunque altro neo-eletto alla Casa Bianca, all'effetto collaterale di vedere amplificate le sue azioni, buone e cattive. Un errore può diventare una tragedia; un successo si moltiplica in un trionfo. C'è troppa attesa che è già diventata una sorta di realtà in attesa di conferma o smentita. D'altronde fino a pochi anni fa Obama neppure esisteva nell'immaginario americano. Per vincere rispetto ad un McCain dalla solida biografia politica è stato necessario dare vita ad una specie di avatar virtuale di Obama che garantisse le qualità necessarie di un presidente come surrogato per l'esperienza che non c'era e non si poteva certo inventare. Ecco la martellante campagna mediatica per costruire l'avatar di Obama - ma adesso dall'avatar si è passati all'uomo in carne ed ossa.


L'America resta in crisi. L'economia è in panne e il nuovo presidente è un'incognita. Repubblicani a parte, sono tutti felici, nonostante il cielo sopra l'America sia grigio plumbeo. In Europa è impossibile vivere una situazione così drammatica con un tale slancio di fiducia verso il futuro. Infatti siamo in pieno revival del '68. Qui, tra i fori cadenti e gli atri muscosi di manzoniana memoria, Obama è solo un'icona che attira i curiosi e gli ingenui; al massimo c'è Veltroni che fa il pappagallo a qualunque cosa Berlusconi dica su Obama. Un po' poco per auto-nominarsi l'Obama tricolore e troppo poco se questo diventa solo una maschera che Veltroni si mette sulla sua faccia per recuperare punti tra l'elettorato. Ma questa maschera non fa guadagnare a Veltroni neppure il rispetto dei gerarchi del Pd. Obama è già un marchio di successo, un altro logo della superpotenza americana. Ci vuole ben altro e ben altri per clonarlo con successo. Le patacche si vedono subito.

Gabriele Cazzulini

pubblicato su www.ragionpolitica.it il 07 novembre 2008

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